Svuotare tutto
In questa pausa sospesa di fine anno che dura più del previsto, e va bene così
È un po’ di settimane che non scrivo, ma la fine dell’anno è stata un lungo scivolo verso giorni di pigrizia, ben poco da raccontare se non il solito rumore di fondo di disastri nel mondo.
Feste a sforzo quasi zero: ormai i menu del pranzo del 25 li abbiamo per fortuna alleggeriti, e poi quest’anno eravamo invitati dal ramo ravennate della famiglia che non ha voluto che portassimo nulla; così la vigilia di Natale ho imboccato la E45 e sono salita da sola verso il Monte Fumaiolo, guidando lenta in una giornata fredda e assolata, per camminare un paio d’ore lungo strade secondarie, in mezzo ai campi coperti di neve.
I regali erano già tutti pronti da giorni, anche se ogni anno faccio più fatica a farli – ormai perfino mio figlio mi dice che non ha bisogno di niente, perché non abbiamo davvero bisogno di nient’altro che non sia già nei nostri armadi e cassetti e device; ora mi segno su Todoist di proporre per tempo una mozione Flanagin o quantomeno un tetto di spesa risibile per il Natale 2025.
In questo mood da mettiamo ordine nella nostra vita ho svuotato armadi e armadietti, gettato cosmetici vecchi usati a metà, portato pacchi di vestiti alle raccolte del riciclo e messo su Vinted vecchie borse ancora belle, vendendone subito un bel po’.
Ho guardato con nostalgia tre vecchi maglioncini ormai un po’ sformati e lisi sui gomiti, poi li ho scuciti, disfatti in matasse, bagnati e asciugati per stendere la lana, riavvolti in gomitoli a filo doppio e lavorati coi ferri circolari, inventandomi un maglione jacquard che sto finendo molto prima di quanto pensassi. Per ogni oggetto che entra in casa ne devono uscire almeno due, è una buona regola per i prossimi anni.
Eppure questa è cosmesi, giusto un po’ meno chiassosa delle lezioncine sul riciclo e la sostenibilità che ormai infestano il mio feed Instagram, infarcito di annunci di altre cose, cose, cose da comprare, e se non sono oggetti allora sono app da cui dovrebbe passare uno stile di vita migliore.
Se consumo di meno non è per virtù ma perché non mi dà più piacere, come quando smetti di bere alcol ogni giorno e ti accorgi che stai meglio: non c’è merito, se non quello di ascoltarsi, il che però presuppone l’aver fatto un po’ di silenzio intorno – lontana dallo scroll infinito, dai trigger, dall’ansia di doverci essere ogni giorno, dire la mia sulla qualunque, posizionarmi.
Mi è tornata in mente una frase da The Every che citavo in una vecchia newsletter:
“Qual è il modo migliore di esercitare la libertà?” le chiese. Non aveva abbassato gli occhi sul suo schermo. Sembrava una domanda improvvisata. “Farlo volontariamente,” rispose. “Irregolarmente. Rifiutando le abitudini. Rompendo gli schemi. Trasgredendo razionalmente le regole irrazionali. Tenendo segreti. Restando non visti. Con la solitudine. L’indifferenza sociale. Combattendo i poteri cattivi. Con l’irriverenza per l’autorità. Andando senza limite o calendario per la tua giornata e per il mondo. Scegliendo quando partecipare e quando ritirarti.”
Scelte felici che ho fatto quest’anno: approfittare di due trasferte di lavoro a Firenze per rivedere gli Uffizi e visitare Santa Maria Novella; iscrivermi a un corso di nuoto, un passo decisamente fuori dalla mia comfort zone ma che si è rivelato incredibilmente piacevole; aver mangiato molta, molta meno carne di un tempo; avere imposto di chiudere per le feste Palabra dalla vigilia di Natale a Capodanno, e al rientro aver pensato che non era davvero necessario esserci il 2 gennaio, posso riprendere direttamente martedì 7.
Libri letti o ascoltati nel 2024 e che continuano a lavorarmi dentro:
romanzi che mi hanno catturata, commossa, aperto mondi: L’avversario di Emanuel Carrere, Birnam Wood di Eleanor Catton, lo splendido Demon Copperhead di Barbara Kingsolver – che non avrei capito fino in fondo se Francesco Costa non ci avesse raccontato così bene la crisi degli oppioidi negli USA, Grande Meraviglia di Viola Ardone, Apeirogon di Colum McCann;
storie di fascismo e resistenza che vorrei pensare più lontane di quanto forse sono: Educazione europea di Roman Gary, Bambino di Marco Balzano, I giorni di vetro di Nicoletta Verna;
graphic novel che sono opere d’arte: Ducks di Kate Beaton, Viaggio in Italia di Pietro Scarnera, Perpendicolare al sole di Valentine Cuny - Le Callet, La mia cosa preferita sono i mostri 2 di Emil Ferris, Compagna Cuculo di Anke Feuchtenberger;
saggi che danno uno spessore diverso alla lettura delle notizie quotidiane: Mostri di Claire Dederer, L’Africa non è un paese di Dipo Faloyn, Noi schiavisti di Valentina Furlanetto, L’incendio di Cecilia Sala – mai così attuale come in questi giorni di angoscia.
Ripasso le scelte che ancora non ho fatto, gli impegni che ho schivato, qualche delusione che ho distribuito in giro; le conto, poi mi dico che posso stare calma, nessuno morirà se non scrivo un altro libro o una newsletter ogni domenica, non sono mica indispensabile, anche se ogni tanto mi riconosco efficace.
Ci sono anche quando resto in silenzio. Incontriamoci in viaggio, sui sentieri, in qualche piazza, in un 2025 in cui non dimostrare niente, se non che ci siamo e sappiamo guardare un po’ oltre.
"Ci sono anche quando resto in silenzio", ci siamo anche così. Bello leggerti.
Non indispensabile, vero, ma tanto efficace, ogni volta che ti leggo, ogni volta che scegli di scrivere. Adoro le tue newsletter Alessandra, smuovono sempre qualcosa. Grazie davvero per queste riflessioni.
A un nuovo anno da riempire, con quello che fa stare bene.