Una cosa che non faccio quasi più è intervenire tempestivamente a commentare la notizia del giorno.
Certo, mi faccio le mie opinioni, ma sono consapevole che all’inizio si tratta quasi sempre di reazioni di pancia, non di un parere ponderato e basato su una conoscenza solida dell’argomento. Se un tema mi sta a cuore, prima di esprimermi leggo, approfondisco, magari imparo cose nuove o cambio un po’ le mie posizioni iniziali; ma a quel punto, il tema è già scivolato via dalle prime pagine, quasi tutto sembra già detto, e allora tanto vale stare zitta.
Magari un assistente digitale basato su un’intelligenza artificiale generativa potrebbe studiare al posto mio articoli, libri, video e podcast, predigerirli e fornirmi in tempi brevi una comoda sintesi da esibire nelle discussioni sui social; immagino che sia questo il lavoro che fanno (o dovrebbero fare) gli assistenti umani di chi fa politica ad alto livello, e senz’altro non ha il tempo di studiare per conto proprio i dossier su cui deve decidere.
Ma a che pro? Per restare sulla cresta dell’onda della visibilità algoritmica? No grazie, quella è una gara da cui mi sono ritirata da tempo, anzi ogni tanto mi viene il dubbio che tutti i miei post siano stati più utili alle piattaforme su cui li ho pubblicati che non a me o alle persone che li hanno visti. L’imperativo di restare visibili online è un altro dei doveri a cui mi sottraggo senza troppi sensi di colpa – sono i vantaggi dell’età.
Parlando di piattaforme, ho letto con un misto di divertimento e crescente inquietudine The Every, il romanzo distopico di Dave Eggers che descrive un mondo in cui il mega social network The Circle si è fuso con il mega ecommerce sempre citato col nome in codice la giungla; il risultato è una piattaforma onnipresente e pervasiva, a cui le persone cedono allegramente non solo i propri dati, ma il controllo delle scelte su ogni aspetto della propria vita.
La spinta a farlo? Prima di tutto, la pigrizia:
Agarwal aveva dedicato settimane di lezione al tema: gli smart speaker erano una prova, anzi la prova, che gli umani non possono resistere a nessuna misura di intrusione nella privacy se gli permette di risparmiarsi pochi passi da un capo all'altro di una stanza.
Qui puoi leggere tutto il racconto della diffusione degli smart speaker, dimmi se ti sembra satira o cronaca.
Poi, la comodità di far prendere ad altri le decisioni importanti, appellandosi a una logica superiore per giustificarle a prescindere dagli effetti.
Infine, la pressione sociale e il conformismo: se ogni nostra azione diventa pubblica e commentabile, se ciò che facciamo genera un rating che, prima ancora di comportare premi o punizioni concrete, si traduce in approvazione o riprovazione sociale, allora sottrarsi al conformismo e alle regole imposte diventa quasi impossibile.
Del resto, è ciò che già accade da anni in Cina, e questa è una delle motivazioni addotte da chi vorrebbe limitare o vietare l’uso di TikTok: lo spiega bene l’ultima puntata di Globo, il podcast del Post dedicato alle cose del mondo. Ma in Occidente il capitalismo della sorveglianza sta facendo più o meno lo stesso, solo non controllato dallo Stato, bensì da alcune aziende private.
Via via che procedevo nel romanzo e nello svolgersi del piano attraverso cui la protagonista tenta il sabotaggio di Every, mi trovavo mio malgrado ad ammettere, insieme a lei, che alcuni aspetti del controllo e della manipolazione di massa potevano essere anche visti in positivo: la riprovazione sociale estrema per i comportamenti ad alto tasso di emissioni di CO2, ad esempio, potrebbe essere la chiave per indurre le masse ad adottare stili di vita a basso impatto ambientale? Ed è più funzionale contestare il sistema dall’esterno, cercare di regolamentarlo, o tentare di condizionarlo dall’interno?
Di certo, gli spazi di libertà da difendere sono i luoghi naturali e la possibilità di disconnettersi; e anche l’accettazione dell’imprevisto, dell’impossibilità di controllare ogni fattore e ogni pericolo.
(Se ti sembra che stia pensando agli orsi nei boschi del Trentino, è proprio così.)
Non ti dico come va a finire il libro, ma c’è un dialogo fra la protagonista e un pezzo grosso di The Every che voglio citare:
“Qual è il modo migliore di esercitare la libertà?” le chiese. Non aveva abbassato gli occhi sul suo schermo. Sembrava una domanda improvvisata. “Farlo volontariamente,” rispose. “Irregolarmente. Rifiutando le abitudini. Rompendo gli schemi. Trasgredendo razionalmente le regole irrazionali. Tenendo segreti. Restando non visti. Con la solitudine. L’indifferenza sociale. Combattendo i poteri cattivi. Con l’irriverenza per l’autorità. Andando senza limite o calendario per la tua giornata e per il mondo. Scegliendo quando partecipare e quando ritirarti.”
Post-scriptum sul mio passaggio a Substack
Innanzitutto, grazie di essere qui a leggermi, sia che tu lo facessi da prima, sia che tu abbia iniziato da pochi giorni. Mi sono arrivate un po’ di domande sul cambio di piattaforma, provo a mettere giù alcuni pensieri in merito.
Email marketing ≠ newsletter
C’è un grande equivoco che incontro spesso, la confusione fra fare email marketing e scrivere una newsletter.
L’email marketing, nell’ambito di una strategia più ampia e con determinati obiettivi di business, implica una strategia di costruzione, analisi, segmentazione e manutenzione del database, decisioni su quali contenuti distribuire sul canale email, un mix di calendario editoriale push e flussi automatici legati a comportamenti, eventi, storia d’acquisto.
Una newsletter è un progetto editoriale a cadenza più o meno regolare (ma più regolare è, meglio funziona); può avere un proprio modello di business (Dan Oshinsky ne identifica 5 possibili tipi, anche se, per come la vedo io, se va bene uno su mille ce la fa), ma in genere il ritorno che ne deriva a chi scrive è il mantenimento della relazione con chi legge.
Ovviamente un piano di email marketing aziendale può comprendere anche una newsletter, che tuttavia andrà gestita in modo integrato con tutto il resto: database, automazioni, e così via.
Substack, a differenza di Mailchimp, non è uno strumento di email marketing: serve solo a scrivere newsletter, con l’obiettivo di spingere gli autori e le autrici a farsi pagare per i contenuti che distribuiscono e poter trattenere (giustamente) una parte di quei ricavi.
Dato che questa newsletter non fa (più) parte di alcun piano di marketing, né personale né aziendale, a me non serve più pagare un tool di email marketing per mandarla. I vantaggi che me ne vengono sono il ricordarti che ci sono, darti un’idea di come ragiono, e magari farti pensare che per un dato progetto potresti chiamare me o Palabra.
Ci sarà una versione a pagamento?
Non penso che proporrò mai una versione Premium, sia perché ho già tante cose da fare e cerco piuttosto di sfoltirle che di aumentarle, sia perché, come scritto sopra, non credo ci sia spazio infinito per contenuti a pagamento, e non mi sembra saggio sgomitare nell’ennesima pozzanghera insanguinata.
Non mi stupirei se a un certo punto Substack smettesse di ospitare gratuitamente chi scrive senza farsi pagare dai lettori; nel caso, valuterò il da farsi in base a quanto costerà, alle alternative disponibili, allo sbatti di cambiare. Non ho nulla in contrario a pagare gli strumenti che uso: pago Todoist, Grammarly, Evernote, GMail, Dropbox, Calendly, solo per dire i primi che mi vengono in mente; ogni tanto però mi fermo a valutare se li sto davvero usando e se valgono i soldi che spendo.
Substack e la privacy
Qualche giorno fa, in un lungo e partecipato thread LinkedIn fatto partire dal mio socio Marco Ziero, si è ragionato su come Substack tratta i dati, di chi sono le liste, e così via; alcune persone mi hanno mandato domande e commenti sull’assenza del doppio opt-in; è il caso quindi di aggiungere qualche parola in merito.
I termini di servizio di Substack riconoscono a chi apre un account la piena proprietà sia dei contenuti pubblicati (purché se ne detengano i diritti) sia delle liste di persone iscritte. Immagino che quest’ultima specifica si riferisca non solo alle liste pregresse, caricate su Substack all’inizio, ma anche alla possibilità di esportare successivamente gli elenchi di iscritti per trattarli con altri strumenti, sempre fatti salvi i loro diritti di essere informati e ritirare il consenso.
Io ho aggiornato la mia informativa privacy specificando che i dati delle persone iscritte fino all’inizio di aprile 2023 sono stati gestiti (e tuttora, finché non archivierò tutto, continuano a essere gestiti anche) su Mailchimp, e da aprile 2023 in poi gli indirizzi email sono stati caricati e vengono gestiti su Substack.
Di fatto, Substack funziona come una sorta di social network: una volta che inizi a usarlo, si ricorda di te, ti riconosce quando leggi via sito o app, e se arrivi su una newsletter nuova ti propone direttamente il campo per iscriversi già compilato col tuo indirizzo email.
Il doppio opt-in, che fino a qualche mese fa era un’opzione disponibile, è stato disattivato; questo non mi piace, perché apre le porte a spambot e mail-bombing e perché il doppio opt-in è una garanzia da molti punti di vista; ci penserò su, ma per il momento questa non è una ragione sufficiente a farmi tornare indietro.
Diciamo che, sulla sostanza, sono ragionevolmente tranquilla che se mi stai leggendo è perché lo vuoi tu e non hai problemi a lasciare il tuo indirizzo email in mano mia e di Substack; sul rispetto formale del GDPR, passiamo dalla padella alla brace, ma diciamo che voglio applicare la cura e le preoccupazioni a progetti più sostanziosi che i miei pensieri domenicali.
Per questa domenica è tutto, alla prossima