Lo zaino grande è quello con cui a 17 anni ho fatto la mia prima – e unica – route scout, la traversata del massiccio del Gran Sasso dal versante aquilano a quello di Teramo. Avevamo in programma di salire a Campo Imperatore con la funivia, secondo le indicazioni della guida CAI su cui avevamo preparato l’itinerario: era un tempo pre-Internet, l’informazione stava nei libri di carta.
Forse avremmo dovuto telefonare per sicurezza, ma non era nemmeno ben chiaro a chi, e nessuno fece quell’interurbana; fu così che arrivammo a Fonte Cerreto, alla base della funivia, per scoprire che l’impianto era in riparazione e quei mille metri di dislivello li avremmo dovuti far a piedi, portandoci in spalla le tende e le provviste dell’intera settimana. A fine giornata, quando ormai vedevamo le grigie pareti dell’hotel di Campo Imperatore, alcune delle ragazze piangevano per la fatica; io non capivo più niente, non sapevo come ero arrivata in cima, ero solo grata di essere nel gruppo cucina con Addis e Stefano che si erano caricati lo scatolame e i fornellini a gas e quasi tutte le provviste, ma quei 16 chili sulle spalle li odiavo con tutta me stessa.
Ora sul Gran Sasso ci torno più preparata e più comoda, a fare cinque giorni di cammino più l’ascesa al Corno Grande. Lo zaino pesa un po’ meno di allora, e soprattutto dentro, oltre ai cambi e agli scarponi, c’è un altro zaino, quello da escursione per portare la borraccia, la giacca impermeabile e un po’ di frutta secca; di giorno camminerò solo con quello, mentre il bagaglio pesante ce lo porteranno da una tappa all’altra quelli di Jonas Viaggi.
La mia unica preoccupazione è stata compattare tutto quel che mi servirà in un unico zaino grande più una borsina a tracolla, visto che la prima parte del viaggio la farò da sola in treno per raggiungere, al casello di Faenza, il mio compagno di carpooling, un altro partecipante con cui condividerò il cammino.
Avremmo dovuto essere in quattro, poi una si è ritirata all’ultimo ma Jonas ha mantenuto comunque il viaggio, perciò sarà un tour a suo modo di lusso, con una guida per sole tre persone; spero che dal vivo siano più socievoli che nel gruppo Telegram, ma per sicurezza mi sono scaricata qualche podcast e un paio di audiolibri.
Dopo un anno di lezioni di nuoto, e ora che il corso estivo lo facciamo nella vasca da 50 metri, ho messo su più fiato di quanto ne abbia mai avuto, e devo anche essere dimagrita perché entro di nuovo in pantaloni che mi stavo rassegnando a vendere su Vinted. Mi sento forte e centrata, ma solo su un piano di realtà parallelo a quello in cui leggo le notizie e rifletto su come va il mondo; quando mi fermo, c’è in sottofondo il rumore dei disastri, come il rombo continuo che accompagna le scene de La zona di interesse.
Del resto la parola del mese è stata ipernormalizzazione, quindi circolare gente, circolare, tutto è spiegato; come se dare un nome a questa dissonanza cognitiva costante fosse la soluzione, abbiamo un’etichetta, una diagnosi, un hashtag, mica pretenderemo un cambiamento no?
Non mi bastano più i percorsi individuali, la mindfulness, la progressione personale; coltivare un sé migliore ha senso solo se lo portiamo nel mondo, come quando nel tango lavoravo sull’equilibrio e la postura e la percezione del mio corpo, ma il fine era sentire il mio ballerino, muoverci insieme senza dover pensare, stare nella pista e sulla musica.
Essere persone migliori non basta se il mondo va nella direzione sbagliata: adesso è urgente mettere in discussione dei si è sempre fatto così più grandi delle nostre morning routine.
Letti e ascoltati in queste settimane in cui non ho scritto niente
Valvassini di Jeff Bezos: Davide Piacenza commenta lo sconcertante fenomeno di chi si erge a paladino dei vincitori che si prendono tutto, lasciando sempre meno briciole ai comuni mortali
Dobbiamo parlare di una patrimoniale climatica, e Marica di Pierri, su A fuoco, spiega bene perché è lì che dobbiamo andare
In Italia esiste la pena di morte, finalmente una puntata di Wilson in cui torna il Francesco Costa che mi scaldava il cuore; anche la puntata precedente, Il problema sono i maschi, era stata super, ma lì il merito era soprattutto di Francesca Cavallo che su Maschi del futuro fa un lavoro coraggioso e necessario
Luna comanche, il quarto e ultimo libro del ciclo western di Larry McMurtry; sono più o meno a metà e penso che alla fine ripartirò da Lonesome Dove. Anche questa storia, come le altre in questo West spietato e struggente, mi fa sentire come è difficile stare nelle contraddizioni, vedere che oppressi e oppressori condividono pregi e difetti, quanto sono ingenue e sbagliate le idealizzazioni da una parte e dall’altra, e che possiamo condannare un crimine, un’ingiustizia, un genocidio, senza beatificare per questo le vittime
Ci sentiamo quando torno dal Gran Sasso e quando faccio decantare un po’ di pensieri.
Un mio pensiero ricorrente degli ultimi tempi letto nella tua bella newsletter Ale: "Essere persone migliori non basta se il mondo va nella direzione sbagliata: adesso è urgente mettere in discussione dei si è sempre fatto così più grandi delle nostre morning routine". Goditi il Gran Sasso. Buona estate.
Non è un caso Alessandra che 1/10 del pianeta si sia riempito (ma i numeri assoluti potrebbero essere più deludenti) di persone caparbie, con un senso dell”io” etico, logicamente colte, che cercano le giuste fonti, equilibrate.
Ma questo percorso spesso isola.
E’ una silenziosa e delicata ricerca, faticosa.
Come una risalita di montagna dove ascolti solo la fatica e l’impreparazione, senza vedere il gruppo. La tua micro collettività.
Anche io, classe 73, mi sento di dover dare un flusso, un movimento giusto, un senso a chi mi osserva (non solo i figli).
C’è infatti tanta gente, parti della cittadinanza, che sono smarriti o annidati in un benessere anestetico, che hanno bisogno (presuntuosamente credo sia addirittura una necessità) di uscire, di vedere un film al Cineforum (e non su Netflix ), di impegnarsi oltre alla propria professione, di incontrare una nuova e reale speranza.
Tornare a rischiare.
Buona giornata Alessandra e grazie per la delicatezza (ferma) con cui scrivi.
Matteo