Mentre in Italia arrivava l’ennesima ondata di caldo africano, il 9 agosto io e il quasi diciottenne viaggiavamo da Ravenna verso Milano, dove la mattina dopo avremmo preso a Malpensa il volo per Oslo; e io scorrendo il Post scoprivo che in Norvegia era in corso un’alluvione:
A causa delle intense piogge di questi giorni vari fiumi norvegesi sono esondati, sommergendo case, esercizi commerciali e aziende nel sud del paese. Migliaia di persone sono state fatte evacuare e strade e linee ferroviarie sono state interrotte da lunedì. Un ponte ferroviario tra Oslo e Trondheim, la terza città più grande della Norvegia, è crollato, ma non ci sono stati danni ai treni perché la circolazione ferroviaria era già stata interrotta.
In Norvegia le alluvioni in corso sono state definite le peggiori degli ultimi cinquant’anni. Anche il sud della Svezia è interessato da inondazioni a causa della tempesta Hans.
Uh, mi mancava qualche cambio di programma dovuto ad allagamenti e interruzioni di linee ferroviarie. Per fortuna la situazione meteo si stava sistemando e a Oslo abbiamo trovato tempo variabile ma con molte ore di sole.
Come avevo già scritto prima di partire, questo era il primo viaggio organizzato della mia vita, se escludo la volta che attraversai in bus il deserto australiano da Adelaide a Uluru con una cinquantina di backpackers – ma lì farlo da sola sarebbe stato troppo anche per me.
A posteriori, posso confermare che viaggiare in gruppo non è cosa per me: Girolibero tiene fede alla sua promessa viaggiare facili e leggeri e ha organizzato molto bene il tour, gestendo imprevisti non banali; il gruppo era composto da persone estremamente piacevoli e abituate a muoversi senza creare intoppi e ritardi; c’era una quantità congrua di momenti in cui stare per conto proprio staccandosi dalla comitiva; ci accompagnava una bravissima guida norvegese, grazie alla quale abbiamo imparato molte cose sulla vita in un paese così diverso da qui; insomma, dieci e lode al tour, ma la mia dimensione ideale è quella del viaggio in solitaria, e dovrò tenerne conto per le prossime volte.
Quel che ho capito della Norvegia
Con una superficie più grande dell’Italia e 5 milioni e mezzo scarsi di abitanti, la Norvegia è stata fino agli anni ‘60 un paese di pescatori e allevatori di pecore e renne; poi hanno trovato il petrolio nel Mare del Nord, e usato questa improvvisa ricchezza in modo molto intelligente anche per merito di un forte spirito comunitario che mette le sue radici nella necessità di sopravvivere in condizioni ambientali non certo facili – non mi stupisce che i Vichinghi si spingessero tanto lontano dalle loro terre d’origine, piuttosto che pescare aringhe e arpionare balene nei fiordi, in un posto dove d’inverno hai quattro ore di luce scarsa.
Coi proventi di petrolio e gas gestiti da una compagnia statale, i norvegesi mantengono uno stato sociale organizzato e presente, con scuole a tempo pieno, tasse universitarie ridicole (la percentuale di laureati nella popolazione adulta fra i 25 e i 64 anni è l’82%, in Italia il 20%), assistenza sanitaria universale. La quasi totalità degli idrocarburi estratti viene esportata e la Norvegia funziona perlopiù a energia idroelettrica, con riscaldamenti a pavimento, cucine a induzione e una quantità di auto elettriche sbalorditiva – mai viste tante Tesla come a Oslo.
Fermandomi a parlare con alcuni attivisti verdi – a Oslo ci saranno le elezioni amministrative a settembre, e il sabato tutto Karl Johans gate, il corso principale, era costellato di banchetti – ho avuto l’impressione che ci sia comunque la consapevolezza di questa enorme contraddizione e della necessità di trovare una via d’uscita dal fossile (qui un approfondimento di ISPI sul tema).
Abituati a cavarsela in un ambiente ostile e molto legati alla loro giovane nazione (sono diventati un regno indipendente nel 1905), i norvegesi fanno tanto sport e sono attrezzati per muoversi con qualunque tempo; del resto i bambini a scuola stanno almeno un’ora al giorno all’aperto, fino a quando la temperatura non scende sotto i -20°C, pratica che approvo incondizionatamente.
Ci sono tante persone immigrate, sia per motivi economici sia per cercare asilo; finora l’integrazione sembra reggere bene, anche se negli ultimi anni i partiti di destra hanno iniziato a limitare l’accoglienza (qui un interessante articolo di Avvenire).
Il norvegese, come lingua, è un curioso incrocio fra inglese e tedesco, e del resto sono state le invasioni vichinghe a portare nelle isole britanniche una robusta iniezione di vocaboli e sintassi norrena.
Oslo
Oslo è una città interessante, certo non propriamente bella nel modo in cui lo sono altre capitali europee; fino a due secoli fa quasi tutti gli edifici erano costruiti in legno, quindi andavano periodicamente a fuoco; gli edifici in pietra o mattoni alternano neoclassico e uno stile eclettico che non è certo il mio preferito.
Molto interessante il municipio, un edificio razionalista in mattoni progettato negli anni Trenta e terminato solo nel 1950 a causa dell’interruzione dei lavori durante i cinque anni di occupazione nazista; affreschi, statue e pannelli scultorei in legno dall’estetica un po’ sovietica celebrano le storie della mitologia norrena, la vita e il lavoro del popolo norvegese, le vicende dell’occupazione e della resistenza.
Decisamente più belli gli edifici moderni: a me è molto piaciuto anche il contestatissimo National Museum, un luminoso box in arenaria affacciato sul fiordo che ospita collezioni dedicate all’evoluzione del design e delle arti decorative in Norvegia, più una galleria di quadri e sculture che dà un’idea di come i vari movimenti artistici europei sono stati interpretati dagli esponenti locali. Qui c’è una delle tre versioni dell’Urlo di Munch, più varie altre opere dello stesso autore. Munch non è uno dei miei pittori preferiti, perciò mi sono fatta bastare quelle sale e non sono andata al Munch Museum, ma questo è il mio personalissimo gusto, ovviamente.
Meravigliosa l’Opera House, progettata dagli architetti di Snøhetta; dell’interno ho visto solo il luminosissimo atrio, ma ho camminato a lungo sui piani inclinati che dal molo sul fiordo portano al tetto, godendomi un tramonto indimenticabile.
A fianco dell’Opera c’è Deichman Bjørvika, la biblioteca più bella che ho mai visto finora: cinque piani di libri, con postazioni per studiare, poltroncine e sedie per rilassarsi, scacchiere, spazi per famiglie e bambini, salette prenotabili per riunioni e incontri, e perfino un'officina popolare dove si possono usare macchine da cucire, stampanti 3D, lasercutter & C. E panorama sul fiordo.
Fra Oslo e Bergen
Dopo due intere giornate a Oslo avevamo decisamente voglia di partire verso il verde, e alla fine l’interruzione dei treni causa alluvione ci ha regalato una partenza anticipata, con un bus privato che ci ha portati fino a Geilo, il punto in cui era possibile riprendere il viaggio in treno.
Geilo è un’anonima stazione sciistica in mezzo alla Norvegia, una specie di Folgarida ma senza le Dolomiti del Brenta intorno, solo verdi panettoni di roccia con in cima qualche nevaio e i versanti disboscati per farne piste da sci. Da lì però la ferrovia inizia ad attraversare una zona che si fa via via più selvaggia, l’altopiano di Hardangervidda, il più esteso parco nazionale norvegese.
La nostra destinazione era Myrdal, da cui in un quarto d’ora di cammino abbiamo raggiunto l’hotel Vatnahalsen, un albergo isolato in mezzo a montagne, laghi e cascate. Passeggiata verso il lago, metà al sole e metà sotto il diluvio, sauna, cena spettacolare e serata di chiacchiere in una hall che sembrava uscita da una cartolina degli anni ‘50, combo davvero perfetta.
La mattina dopo la pioggia è finita in tempo per consentirci di fare a piedi il percorso fra l’hotel e la stazioncina di Blomheller, sette chilometri in mezzo al nulla, incrociando solo un gregge di capre e poi cascate, lamponi, fiumi impetuosi. A Blomheller siamo saliti sul Flamsbana, il trenino panoramico che da quota 850 ci ha portati al livello del mare, anzi del fiordo; davvero spettacolare, nonostante la pioggia, e altamente consigliato.
A Flam il nostro viaggio è proseguito in battello sui fiordi, Sognefjord e il suo tratto Nærøyfjord, il più stretto e uno dei più famosi. Tempo variabile, nei momenti di sole i colori e il paesaggio si illuminavano, quando pioveva tutto si faceva un po’ più uggioso. Al termine del fiordo ci aspettavano ancora un tratto in bus e uno in treno, per arrivare infine a Bergen.
A Bergen piove
A Bergen piove 210 giorni l’anno, perché le correnti cariche di umidità provenienti dall’oceano Atlantico si raffreddano improvvisamente contro la corona di montagne che circonda la città. Così abbiamo visitato la città nella sua veste più tipica, sotto l’acqua, e abbiamo anche ceduto alla tentazione di comprare il classico impermeabile Scandinavian Explorer, con cui potremo affrontare ogni genere di precipitazione.
Shopping a parte, il quartiere dei mercanti anseatici Bryggen con le casette di legno affacciate al fiordo è interessante anche se ormai è un po’ una ricostruzione per turisti, e con la pioggia vale la pena spendere un’ora al Bryggens Museum, per farsi un’idea della storia della città.
Bello anche camminare arrampicandosi verso la cima delle colline, fra case di legno colorate e vasi di fiori un po’ trasandati, ma comunque suggestivi. L’ultima mattina abbiamo anche preso la Fløibanen, la funicolare che sale sulla cima di uno dei sette colli (loro dicono le sette montagne, ma vabbè) che circondano la città. La cima del Fløyen era in mezzo alle nuvole, ma scendere a piedi è stata comunque una bella passeggiata panoramica.
Stavanger e il sud
Da Bergen abbiamo preso un traghetto danese che in cinque ore di navigazione fra isolotti e fiordi ci ha portati a Stavanger, la capitale del petrolio norvegese. A Stavanger c’era il sole, meno traffico che a Bergen e quasi tutto in elettrico, il nostro hotel era forse il più bello in cui siamo stati durante il viaggio, ed entrambe le sere abbiamo mangiato benissimo; sarebbe servita una mezza giornata in più per visitare il Museo del Petrolio, invece praticamente la città ci è servita solo come base per dormire due notti e fare trekking sul Preikestolen.
Il Preikestolen, o Pulpito, è un terrazzo di roccia a strapiombo sui fiordi che si raggiunge in due ore di escursione su un sentiero che alterna salite di gradoni rocciosi e lunghi tratti pianeggianti, sempre in mezzo a panorami di laghi, cascate, fiordi e boschi di betulle. È indubbiamente molto bello, e per questo frequentatissimo, come certi sentieri sulle Dolomiti in cui non ci si dà il passo fra comitive di turisti di tutto il mondo.
Ovviamente non puoi lamentartene, perché sei parte del problema: anche tu turista nel gregge, a fotografare le stesse foto di chi ti sta intorno e godere comunque della giornata.
Un giorno scriverò del fastidio che mi danno certe polemiche snob sull’overtourism, ma non oggi, che già la sto facendo lunghissima.
A sud di Stavanger abbiamo passato forse la giornata più bella del viaggio, lungo la più meridionale delle strade panoramiche norvegesi, costeggiando spiagge bianche, cordoni di dune sabbiose, vecchi bunker abbandonati, miniere e case incastrate sotto speroni rocciosi. Abbiamo attraversato le dune arrivando a una spiaggia alla foce di un fiordo, mi sono tuffata nel Mare del Nord, ci siamo arrampicati controvento per raggiungere il faro di Lindesnes, il più meridionale della Norvegia; insomma è stata una giornata perfetta. Poi l’ultimo giorno, mentre percorrevamo il tragitto Kristiansand-Oslo, ha ripreso a piovere, ma pazienza, la nostra dose di bellezza l’avevamo avuta.
Non è un paese per vegetariani
La Norvegia è cara, perfino per i norvegesi che hanno stipendi molto più alti dei nostri.
Dormendo in hotel conviene approfittare delle ricche colazioni a buffet, dove quasi sempre si trovano salmone e verdure oltre a uova, bacon, salsicce, yogurt, pudding e marmellate. A pranzo spesso ci siamo presi un sandwich e un po’ di frutta in un supermarket; a cena, i Fish Market in fondo al fiordo vendono – oltre al pesce crudo – vari piatti già cotti e consumabili nei tavoli sotto i tendoni: burger di salmone, cervo e alce, affumicati (noi abbiamo sempre chiesto che non ci mettessero la balena, sostituendola con salmone o storione), Fiskersuppe, la zuppa di pesce fatta con panna e aneto, un vero e proprio comfort food.
Ci siamo anche concessi qualche ristorante, sempre mangiando ottimo pesce; dati i costi esorbitanti degli alcolici (non solo per questioni di cambio, ma anche perché il governo cerca di scoraggiarne il consumo a suon di tasse altissime), ho fatto volentieri dieci giorni di detox, approfittando anche della civile abitudine di offrire sempre l’acqua in caraffe o bottiglioni self-service.
Dovunque ci sono ristoranti italiani, che ci siamo ben guardati dal provare, e a Oslo e Bergen ovviamente molti altri ristoranti etnici; la nostra compagna di viaggio vegana ha avuto più difficoltà di noi, ma alla fine è riuscita a sopravvivere anche lei.
Takk for all fisken
Grazie per tutto il pesce, quindi; questo è uno di quei viaggi che mi porto dietro anche dopo il ritorno, gustandomi un po’ alla volta i ricordi e le impressioni che mi ha lasciato, e le cose che ho imparato su di me oltre che sui luoghi e le persone incontrate.
È anche stato forse l’ultimo viaggio importante che farò da sola con mio figlio, che ormai è grande e se ne andrà in giro per conto suo o con gli amici, e ne sono uscite fuori un paio di chiacchierate di quelle belle, a modo nostro.
🥰 segno tutto!
Mi hai fatto tornare voglia di tornarci 😍