Di confini e mescolanze
E della necessità di continuare a esplorare storie e paesaggi diversi dai nostri
Scrivo questa newsletter dal Friuli Venezia Giulia, in uno strano weekend in cui si alternano rovesci di pioggia e momenti di caldo innaturale.
Sono qui perché alcuni mesi fa mi hanno cercata dall’Accademia Europeista, un’associazione di Gorizia che fa parte di una rete di Case d’Europa; il loro scopo è promuovere e divulgare i vantaggi di una maggiore integrazione sovranazionale quale possibile antidoto alla stagnazione, al nazionalismo e al pessimismo dilagante.
Insomma, noi vogliamo un’Europa forte, incisiva e che faccia la differenza.
Il tema di cui ho parlato, a una platea piccola ma molto appassionata e coinvolta, era l’intelligenza artificiale, i sistemi generativi, i loro usi e le questioni che aprono:
quali impatti occupazionali avranno?
come sono composti i dataset usati per addestrarli? quanto rappresentano punti di vista ed esperienze diverse, e quanto invece rischiano di accentuare e perpetuare bias e disuguaglianze?
di chi è la conoscenza diffusa di cui si alimentano, e come retribuire chi la crea?
quanto lavoro “umano” c’è dentro l’intelligenza artificiale, e come viene considerato e retribuito?
con software in grado di generare artificialmente immagini, audio e video sempre più indistinguibili dai contenuti ripresi “dal vero”, il dibattito pubblico sarà irrimediabilmente stravolto dai deepfake?
riconoscimento facciale, giustizia predittiva, delega delle decisioni agli algoritmi: sono strade irreversibili o possiamo ancora evitare un futuro distopico?
ora che per l’ennesima volta poche aziende private mettono a profitto contenuti prodotti collettivamente, possiamo iniziare a esigere una redistribuzione equa della ricchezza così generata?
Tutte queste domande mi sembrano estremamente più importanti e urgenti di eventuali scenari distopici in cui un’AI di intelligenza sovrumana prende il possesso del mondo e ci stermina. A sterminarci, stiamo lavorando efficacemente da soli, grazie.
Poi sono uscite le domande classiche, stiamo disimparando a scrivere e a pensare?, e io a ricordare che stiamo imparando anche molte cose nuove, che se mio figlio non ha allenato cervello e mani nel modo in cui l’ho fatto io quarant’anni fa, si è esercitato in campi da gioco del tutto diversi, imparando a gestire situazioni davanti a cui il mio cervello va in tilt. Quindi non so cosa accadrà, so solo che non dobbiamo accontentarci mai della prima risposta.
Sul Post nei giorni scorsi è uscito un articolo dal titolo un po’ buffo, che però, soprattutto verso la fine, contiene alcune considerazioni serissime.
Il problema dell’illusione della profondità esplicativa, secondo Sloman e Fernbach, è che spesso può portare le persone a sovrastimare le loro conoscenze e sottostimare quanto sia grande la parte di conoscenza della comunità. Di conseguenza spesso non ci rendiamo conto di quanto poco comprendiamo, e finiamo per essere troppo sicuri di noi stessi e certi di avere ragione su cose di cui in realtà sappiamo pochissimo. […]
Spesso, proseguono Sloman e Fernbach, a causa dell’illusione della profondità esplicativa né i politici né gli elettori si rendono conto di quanto poco comprendano. E ogni volta che un problema diventa abbastanza grande da essere argomento di dibattito, tendenzialmente è un argomento abbastanza vasto da non potere essere compreso del tutto. La competenza individuale è necessaria, ma il più delle volte non è sufficiente, perché soprattutto le questioni sociali hanno cause complesse ed effetti imprevedibili. I conflitti non sorgono mai soltanto per razzismo o per altri singoli fattori facilmente individuabili, secondo Sloman e Fernbach, ma sono il risultato di cause complesse e varie, che includono esperienze individuali, aspettative, incomprensioni e cattive pratiche: se tutte le persone comprendessero questa complessità e la accettassero, «la nostra società sarebbe probabilmente meno polarizzata».
Che amara ironia trovarmi a Gorizia, invitata da un’associazione europeista, proprio in un momento in cui l’Europa appare irrilevante in uno scenario globale sempre più lacerato, e alla vigilia della temporanea sospensione di Schengen lungo la frontiera italo-slovena…
La sera, dopo la conferenza, i miei ospiti mi hanno portata in Piazza della Transalpina, dove passa la linea di confine; sul lato sloveno della piazza si affaccia una stazione ferroviaria rimasta quasi intatta da più di cent’anni, da cui passavano i treni che da Trieste arrivavano a Vienna. I confini sono cambiati, imperi e regimi sono scomparsi, ma lingue e culture continuano a mescolarsi, e a noi scegliere se farlo succedere in pace o coltivando l’odio reciproco.
Poche cose mi sono sempre sembrate assurde come i nazionalismi e le pretese di supremazia, faccio fatica perfino a concepire il tifo sportivo, figuriamoci il morire o uccidere per una bandiera o un’idea di dio. Sarà perché ho avuto la fortuna di avere intorno adulti che mi hanno fatta appassionare alle storie, e queste a loro volta hanno coltivato il mio desiderio di viaggiare.
Viaggiare e cercare storie – tante, vere, inventate, da ogni tipo di voci – è un grande antidoto contro il pericolo di un’unica storia, e se mi auguro qualcosa per mio figlio è che coltivi la curiosità e la tolleranza, che voglia esplorare orizzonti diversi da quelli fra cui è cresciuto.
Mi ha molto colpito la riflessione che fa Rolla Scolari nell’ultima puntata di Globo, su Gaza e Israele: più aumenta la segregazione, meno ci si mescola e ci si frequenta, più diventa facile disumanizzare chi sta dall’altra parte di un confine.
Viaggiare e cercare storie: non risolverà tutto, ma è già sulla buona strada.
Ogni tua newsletter è densa di profondità, onestà intellettuale e franchezza.
Questa è magistrale, vorrei che fosse letta a scuola e affissa sui muri delle città.
Anch'io mi sento amareggiata da atteggiamenti (dis)umani che mi appaiono suicidi e anacronistici, lasciandomi attonita.
Anch'io mi ostino a focalizzare l'attenzione sul potenziale che potrebbe cambiare questa rotta inquietante, senza fermarsi all'opzione più immediata: nell'informazione, nella tecnologia, nella cosa pubblica, nel viaggio.
Viviamo una fase storica in cui restare troppo comodi rende complici.