Vorrei lamentarmi che la gente sta male, citare tutti gli esempi di frustrazione, cattiveria gratuita, pareri critici non richiesti, proteste futili che leggo e ascolto in giro.
Lamentarsi serve? Ogni tanto un po’ aiuta. In Palabra abbiamo un appuntamento fisso il venerdì pomeriggio, la call di slow down in cui chiudiamo la settimana, un po’ parlando di cose fuori dal lavoro – cosa fate questo weekend? – e un po’ sfogandoci e facendoci pat pat a vicenda per le perle degli ultimi giorni: quello dell’IT che chiede 15 giorni di preavviso per fare una variazione di DNS, l’ennesimo mansplaining da parte di un incapace del supporto clienti di <grande ESP>, il bullismo di <grande e strapagata agenzia di consulenza>. Poi la buttiamo in ridere e ci ricordiamo che ci sono anche clienti adorabili, progetti che danno soddisfazione, persone con cui è bello lavorare, e la settimana si chiude lì.
Però quando inizio a lamentarmi mi scatta subito un allarme interiore, quasi un senso di colpa, il mio grillo parlante che mi rimprovera “a che serve? cosa puoi cambiare? davvero sei sicura di non farlo anche tu?”. Sono grata al mio grillo parlante, ogni tanto vorrei zittirlo ma non lo schiaccerei mai sul muro.
Parlando di gente che sta male, una casistica particolarmente preoccupante sono i negazionisti climatici: ne scrive Ferdinando Cotugno nell’ultimo numero di Areale (i grassetti sono miei), e anche lui vedo che ha il suo grillo parlante che lo sprona a chiedersi “che fare”:
La settimana scorsa ho scritto su X del record di marzo come marzo più caldo di sempre. Quattro righe molto basiche, con quasi cinquecento commenti, una specie falange organizzata di insulti.
È la normalità, da anni, ma forse dobbiamo anche tornare a chiederci: siamo proprio sicuri che sia normale? Che sia okay? Comunque. Ho avuto ventiquattro ore di istruttive notifiche furibonde, e la cosa che ho pensato più spesso, ma proprio senza astio, è stata: le persone non stanno bene. Il negazionismo è un carotaggio, la prima cosa che vedo in questo carotaggio è che gli esseri umani sono proprio rotti.
Poi, dobbiamo andare oltre, ogni tanto dobbiamo saper sbirciare dentro quella conversazione. Ci aiuta a capire come viene percepito il nostro tema, è come misurare la febbre dell'anti-ambientalismo. Il negazionismo sui social è il nostro focus group permanente. Diciamo che ha una sua utilità. E io vedo un'emergenza, e soprattutto la vedo a pochi mesi dalle elezioni europee. Non mi spaventa l'ignoranza scientifica, forse perché ormai ci siamo abituati, ma la percezione incistata che la lotta ai cambiamenti climatici sia un'azione elitaria, dei ricchi contro i poveri.
Non è solo negazionismo, è rabbia negazionista, come se anni, decenni di esclusione sociale si stessero catalizzando sulla transizione ecologica. Qualcosa è andato storto, e per quanto sgradevole, è un punto da cui ripartire. Una nuova ricerca pubblicata su Environmental Research Letters fatta sulla letteratura scientifica esistente evidenzia come in tutti i continenti, dentro ogni paese, l'aggravarsi della crisi climatica colpisca i più poveri e vulnerabili. «Le ricerche lo confermano in tutti le regioni, su ogni tipo di impatto, o settore, o tipo di diseguaglianza, in ogni metodo di valutazione».
La lotta ai cambiamenti climatici è lotta alla povertà, ma la lotta ai cambiamenti climatici non si può fare senza lotta alla povertà. Questa idea deve tornare a essere un patrimonio condiviso. È da qui che si deve ripartire.
Io non so da che parte ripartire, o meglio, la direzione penso di conoscerla, ma come portarci il resto del mondo mi è ignoto. Che la lotta alla povertà e all’ineguaglianza sia parte intrinseca della lotta per un pianeta più sano, ormai lo scrivono perfino quei marxisti rivoluzionari di Nature, ma il maschio cis bianco di mezza età (definizione di mio figlio) preferisce credere ai volantini complottisti che gli hanno rivelato “la quota di CO₂ che vogliono eliminare sei tu”, e passa il sabato mattina a lavare l’auto sversando per strada ettolitri di acqua potabile.
Intanto, il Ministero della Paura e della Crudeltà Gratuita allunga i viaggi delle navi che soccorrono i migranti e le mette sotto sequestro perché hanno sottratto profughi dalle grinfie della Guardia Costiera Criminale libica. Io apro il portafoglio per fare un’altra donazione a Mediterranea, ma intorno cresce una nuova narrazione che non mi piace affatto, e mi ricorda in modo sinistro uno dei principi su cui si basa il mondo descritto da Orwell in 1984:
Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato.
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Vado a camminare, che c’è il sole e dalla passeggiata in Darsena si possono ammirare le foto del mio amico Giampiero Corelli, ciao.
I negazionisti climatici secondo me hanno paura, e trasformano la paura in aggressività. Poi ci sono i social che diventano un megafono per quest'aggressività, questi se la devono pur prendere con qualcuno, no? Che tristezza, hai ragione. Per fortuna non tutte le persone sono così. Un abbraccio!