Nelle scorse settimane ho divorato quello che penso sia uno dei romanzi più importanti usciti in questo decennio: Diluvio di Stephen Markley, un opus magnum la cui trama si dipana dagli anni ‘10 alla fine degli anni ‘30 di questo secolo in un’America dilaniata da catastrofi climatiche e politiche.
Non la definirei una distopia, è piuttosto un’ipotesi realistica di quel che potrebbe succedere e in parte è già successo o sta succedendo: le devastazioni sempre più estese provocate da uragani che un tempo avremmo definito straordinari, ma ormai sono normali; i grandi incendi che distruggono intere comunità; la riduzione repentina degli spazi di discussione e dissenso; l’avvento di forme di repressione sempre più pervasive e violente.
Nel libro si intrecciano le storie di attiviste, ricercatori, ecoterroriste, emarginati, lobbisti, hacker, con le loro convinzioni, contraddizioni, difetti e qualità, ciascuno alla ricerca di un sentiero che porti alla salvezza propria o di una comunità più grande.
Via via che la lettura procede, monta l’angoscia, perché in questo delirio ci stiamo entrando con tutte le scarpe e lo sappiamo. Non ti faccio spoiler, ti dico solo che – nonostante disastri e dolore – alla fine non si chiudono tutte le speranze e la storia (la Storia) prende una piega positiva: non è un happy end, ma nemmeno l’epilogo buio e disperato di 1984.
Cito le parole dell’autore, da una bella intervista uscita su Lucy:
La mia unica intenzione era descrivere ciò che tutti stiamo per vivere. Che ci si creda o no, che ci si presti o no attenzione, che la si abbia a cuore o meno, la crisi climatica è qui e cambierà tutto. Volevo che le persone sentissero questa cosa su un piano emotivo, così da dargli occasione di capire cosa c’è in gioco e, spero, fargli cambiare posizione rispetto a questo problema, farle diventare attive e appassionate e consapevoli. Uno desidera che il proprio romanzo apra le persone in due, e senza dubbio scrivere questo libro ha aperto me. Ma ciò che ho fatto è tutto qui: ho guardato a ciò che la scienza ci stava dicendo e ho scritto il futuro di conseguenza. Mi dà fastidio quando la gente descrive Diluvio come “distopico” o “apocalittico”. Questo è un romanzo realistico su ciò che vivremo, su ciò che in grandissima parte è già qui, e molto in anticipo sul programma.
E davvero questo libro mi ha aperta in due: ho rivissuto l’angoscia dei giorni dell’alluvione, l’ingenua speranza che “dopo quello che è successo tutti dovranno rendersi conto che”, lo sconforto di vedere che invece, disastro dopo disastro, ancora si cercano timidi palliativi o scuse per ritardare decisioni indispensabili.
In certi momenti, alternando la lettura del libro allo scrolling compulsivo della politica internazionale, non riuscivo più a distinguere chiaramente il confine fra la realtà e la fiction, tanto assurda e impensabile è la prima.
Hope in the dark, speranza nel buio, è il libro di Rebecca Solnit citato da una delle protagoniste di Diluvio, l’instancabile attivista Kate Morris; ho iniziato a leggerlo e mi ha colpito la metafora che usa Solnit per parlare di come certi fenomeni collettivi sembrino nascere dal nulla, come i funghi dopo la pioggia; quello che noi definiamo “fungo” è solo il corpo fruttifero, la manifestazione solida e visibile di un’intricata rete di micelio che esisteva da molto prima nel terreno, interconnessa alle radici delle piante, a materia organica e inorganica. I funghi sono una rete sotterranea estesa per distanze enormi, che a un certo punto si manifesta in forme definite e visibili, cresciute nel giro di una notte.





Solnit usa questa metafora per invitare a coltivare reti, anche quando sembra che queste restino talmente sottotraccia da non portare a nulla: ma è la loro presenza che renderà possibile, a un certo punto, un’azione ben più evidente e rivoluzionaria.
Cucire, curare, coltivare: sono queste le parole che mi stanno a cuore, non “dirompente”, “spaccare tutto”, “aprire come una scatoletta di tonno”; mi chiedo se riusciremo a tenercele care anche se, anche quando ci sarà bisogno di fare la guerra.
Semi di fiducia
Nature Briefing è una delle mie newsletter preferite: Flora Graham e le altre persone meravigliose che la scrivono riescono ogni giorno a cucire insieme notizie di scienza che spaziano dalla microbiologia all’astrofisica, dando voce alle persone che fanno ricerca e prestando molta attenzione alle relazioni fra scienza e società. È content curation nel significato più bello del termine, non un bollettino fatto incollando uno dietro l’altro degli abstract, e ogni volta scelgono con molta cura la cosa più importante da dire nell’oggetto della mail.
Quelle sotto sono le ultime newsletter di questi giorni, e mi sembra chiaro come la pensano:
Exclusive: NIH ends LGBTQ+- and climate-related grants en masse (Esclusivo: NIH mette fine a tutte le borse di studio legate a temi LGBTQ+ e al clima)
‘Omg, did PubMed go dark?’ Blackout stokes fears about database’s future (‘Oddio, PubMed è spento?’ Un blackout accende i timori riguardo al futuro del database)
US scientists rise up against Trump’s efforts to dismantle federal science (Gli scienziati USA si sollevano contro i tentativi di Trump di smantellare la scienza federale)
‘They want to send us to the Dark Ages’ — What another round of layoffs means for US science (‘Vogliono farci tornare nel Medio Evo’ – Cosa significa un nuovo giro di licenziamenti per la scienza USA)
Trump sows uncertainty for US PhD students and NIH-funded researchers abroad (Trump semina incertezze fra gli studenti dei PhD USA e i ricercatori finanziati dal NIH)
An unvaccinated child is first US measles death in a decade (Un bambino non vaccinato è la prima vittima di morbillo negli USA in dieci anni)
‘An assault on science anywhere is an assault on science everywhere’: Nature denounces Trump’s attack on US research (‘Un attacco alla scienza in un luogo è un attacco alla scienza dovunque’: Nature denuncia l’attacco di Trump alla ricerca USA
La resistenza si manifesta fra chi fa scienza e chi lavora (o lavorava) nei parchi nazionali; sono online (qui la pagina Facebook Alt National Park Service, qui Resistance Rangers su Instagram) e hanno iniziato a scendere in piazza e far sentire la propria voce.
Prepariamoci a farlo anche noi.
"Diluvio" continua a tornare come consiglio in diverse newsletter a me molto care: è il momento che mi ci immerga. Grazie Alessandra, anche per la scoperta del bel formato di "Nature Briefing".
Ci sono molte voci sul web, rare quelle sonanti , come un bel giro di note che ascolti e ascolti. Ecco, la voce di Alessandra Farabegoli la si legge e di nuovo, e ancora e ogni volta raccogli! La bellezza del pensiero trascende nella sua massima espressione scritta! 🙏