L'estate più mite del resto della nostra vita
Dove possiamo trovare l'energia per tenere acceso l'ottimismo della volontà, quando la ragione dice male, ma proprio male?
Ho passato la prima settimana di luglio in vacanza nelle Dolomiti bellunesi, e fra viaggi per e dalla montagna e un sabato impegnato a far lezione al master Wempark di Prato la newsletter è saltata; non che ci sia bisogno di giustificarsi, che in questo periodo, con queste temperature, possiamo serenamente abbassare l’asticella delle performance e preservarci un po’.
Storie di insetti e tempeste
Durante la Summer School di Digital Update in Val di Sole, a metà giugno, era capitato di parlare del bostrico, perché Alessandro Fanelli di Ursus Adventures ci aveva mostrato il nuovo ufficio costruito in legno bostricato, uno dei modi in cui si cerca di dare valore alle foreste devastate dalla tempesta Vaia di fine 2018. Il bostrico, te la faccio breve, è un insetto che si nutre principalmente del legno di abeti rossi malati; dopo che Vaia ha abbattuto milioni di alberi, si è moltiplicato a dismisura attaccando anche piante sane; un articolo molto completo e spiegato bene è, come sempre, su il Post.
In Val di Sole si vedono infatti ogni tanto nel bosco piccole macchie marroni nel verde: sono gli alberi attaccati dal bostrico. Parlandone, ci spiegavano che bisogna abbattere e portare via non solo gli alberi già morti, ma anche quelli circostanti, che probabilmente ospitano già il parassita. Piccole macchie marroni nel verde, un segnale di allarme, un “teniamo sotto controllo e capiamo che fare”.
Una decina di giorni dopo, appunto, sono partita per le vacanze; passata Belluno ci siamo inoltrati nell’Agordino e mi si è stretto il cuore: qui, dove Vaia ha colpito più forte, non ci sono macchie isolate di alberi bruni ogni tanto, ma interi versanti ormai morti. Gli alberi che non erano stati abbattuti dal vento cinque anni fa li ha invasi il bostrico, e la montagna sembra devastata da un enorme incendio che purtroppo sta ancora covando nascosto e silenzioso.
Le foreste hanno una loro capacità di rigenerazione, e sono tornate piene di alberi anche dopo essere state devastate da guerre e incendi; ma ci vogliono decenni per rifare un bosco, ammesso che negli anni che abbiamo davanti le condizioni climatiche siano altrettanto stabili di quelle di cento anni fa.
Purtroppo la risposta la conosciamo già: solo nell’ultima settimana, l’Agordino e il Cadore sono stati di nuovo spazzati da tempeste di vento devastanti, con alberi caduti come birilli; poi al nord è arrivata la grandine, non quella normale, ma palle di ghiaccio grosse come limoni, un vero e proprio tornado in Lombardia, mentre sotto la linea della perturbazione, in tutta l’Europa del Sud, si continua a boccheggiare per un’ondata di calore africano molto più lunga del normale.
Ah, e non dimentichiamo che due mesi fa tutta la Romagna, più parte della provincia di Bologna e delle Marche, hanno vissuto l’alluvione: difficile sentirne parlare ormai sui media nazionali, ma ci sono ancora migliaia di persone fuori dalle proprie case, cumuli di rifiuti e fango per la campagna, strade non praticabili, versanti a rischio frane con la prossima pioggia abbondante.
Fino a poco tempo fa pensavo “quando le conseguenze della crisi climatica diventeranno evidenti e tangibili, le persone apriranno gli occhi”: ma oggi vedo spuntare negazionisti climatici da ogni dove, l’ineffabile Mentana dal suo pulpito di La7 ironizza sul riscaldamento globale che porta la grandine, partiti conservatori contrari a ogni cambio di rotta nei consumi e nei modi della produzione guadagnano consenso e vincono elezioni locali e nazionali – spesso votati proprio da chi, nel medio termine, subirà i danni peggiori dalle conseguenze del riscaldamento globale.
È difficile conservare, come dice Javier Cercas citando Gramsci, l’ottimismo della volontà, quando la ragione analizza la realtà e ne trae pessimi pronostici. Ci vuole tempo e pazienza per spiegare che la grandine non è la smentita del riscaldamento globale, ma la sua ennesima conferma. Ci vuole energia per non cadere nello sconforto, io invece mi sento un po’ stanca, e ho smesso di leggere I Greenwood, romanzo ambientato in un futuro distopico in cui quasi tutte le foreste sono morte, perché i flash-back su come si è arrivati a questo punto assomigliavano troppo alla cronaca di questi giorni.
Chiudiamo con qualcosa di bello, dai
In questi giorni sarei voluta essere a Trento, a festeggiare anch’io i 10 anni del Muse; ci andai all’inaugurazione e poi altre volte, perché davvero ne vale la pena, e l’idea che qualcuno ci abbia creduto forte e l’abbia fatto diventare realtà, un museo pop che fa divertire e pensare senza mai scadere nel banale intrattenimento, è una di quelle cose che mi tiene accesa la fiammella dell’ottimismo della volontà.