Domenica scorsa, rigorosamente allo spettacolo delle 18:30, sono andata a vedere Perfect Days, l’ultimo film di Wim Wenders.
Il film si sta prendendo una buona fetta di spazio nelle mie bacheche social, con reazioni che oscillano fra l’estasi e l’insofferenza; ne sono un buon campione l’articolo di Lorenzo Gramatica su Lucy e i commenti sotto il relativo post di Instagram; e in effetti, che sia piaciuto o meno, il film è un’esperienza che smuove dei pensieri, durante e dopo.
Anche se non l’hai visto, non rischio di farti grandi spoiler dando qualche accenno della trama: a Wenders era stato commissionato un documentario sui bagni pubblici di Tokio (mentre aspettavo l’inizio della proiezione, in effetti, io e l’amica con cui ero andata al cinema ci siamo chieste “ma che cazzo ha fatto Wenders negli ultimi trent’anni?”, e Wikipedia ci ha ragguagliate sulla sua produzione di documentari; ok, ci sta che il mio ultimo ricordo del regista fosse Fino alla fine del mondo); poi il progetto si è sviluppato in un film, che sarà addirittura candidato agli Oscar per il Giappone.
Il protagonista Hirayama è un addetto alle pulizie del Tokyo Toilet Project, e ne seguiamo la vita in una sequenza sempre uguale di gesti quotidiani: alzarsi, sistemare il futon, prendere un caffè al distributore di lattine e partire sul furgoncino per il giro delle pulizie, in questi bagni progettati da archistar e curati in ogni dettaglio.
Hirayama svolge il suo lavoro con cura, gioisce dei dettagli di vita che incrocia nel suo giro quotidiano, mangia un tramezzino sulla panchina del parco e conclude la giornata con abluzioni ai bagni a pagamento e cena leggera nel solito locale nei sotterranei della metro. Sorride alle persone che incontra, conosciute o no, fotografa la luce fra le foglie degli alberi con una vecchia Olympus non digitale e ascolta musicassette degli anni ‘70, pezzoni storici ormai incisi nella memoria di noi boomer e genX.
Al quarto risveglio di Hiroyama ho guardato l’orologio: erano passati nemmeno 40 minuti, nei quali avevamo assistito a tre giornate pressoché uguali. Non ho potuto fare a meno di chiedermi quanti cessi ci mancassero ancora, considerato che il film dura più di due ore: evidentemente in me c’è molto Occidente, e benché io apprezzi, con la testa, molti aspetti della cultura giapponese, la mia pancia chiede azione, arco narrativo, contrasti.
Poi la superficie della trama ha iniziato a mostrare qualche increspatura, o nel frattempo io sono entrata in un mood “sia quel che sia”, come in un bizzarro esercizio di meditazione. La colonna sonora strappamutande ha fatto il resto, e alla fine sono uscita dalla sala di buon umore, forse perché mi sentivo ringiovanita di 35 anni circa, oppure in fondo tutto quel minimalismo dopo un po' aveva avuto un effetto depurante.
Come avrai capito, non è un film che ti consiglio di andare a vedere assolutamente, ma nemmeno te lo sconsiglio, anche solo per vedere l’effetto che fa.
Certo, per esprimere sostanzialmente gli stessi concetti – provare felicità nel quotidiano, nei gesti e nei dettagli – Giorgio Gaber ci aveva messo tre minuti e mezzo, in una delle sue canzoni più belle e struggenti.
E io, che pure ogni mattina mi alzo, faccio yoga, preparo la colazione, sveglio mio figlio che deve andare a scuola, poi attraverso la città a piedi mentre faccio la telefonata quotidiana a mia madre e ascolto Morning, saluto con un sorriso la ragazza che pulisce le scale dell’ufficio, insomma sembro una versione di Hiroyama senza i cessi, ne avrei anche un po’ la piena di questa glorificazione del quotidiano, in cui ci rifugiamo perché sembra essere l’unica dimensione su cui ci è dato di poter incidere.
Invece c’è bisogno di azione collettiva
Sto leggendo il rapporto Oxfam “Disuguaglianza: il potere al servizio di pochi”, presentato nei giorni scorsi: la dimensione del divario economico fra i super-ricchi (non è un maschile sovraesteso, è che sono proprio #tuttimaschi) e le fasce sempre più povere della popolazione, italiana e mondiale, è intollerabile.
Ok aderire alla raccolta di firme per introdurre a livello europeo una tassa sui grandi patrimoni, ok sostenere chi dà supporto ai disperati più disperati – impossibile farlo con tutti, ma questa non è una scusa per non farlo mai, conosci ad esempio NoNameKitchen? – ma come possiamo incidere sulle scelte collettive in modo più incisivo? Che direzione prenderà l’Europa dopo le elezioni di giugno? Perché un esperimento come quello di Podemos ha funzionato e prodotto effetti concreti solo in Spagna? Ho più domande che risposte.
Segnalazioni
Sempre per la serie “lunghe letture dopo le quali non ti sentirai ottimista”, Ferdinando Cotugno ha scritto un bellissimo articolo sull’Arabia Saudita e le sue politiche di soft power, “La partita che l’Arabia Saudita vuole vincere è quella del potere”. Di Ferdinando Cotugno ti ho già consigliato più di una volta Areale, la newsletter di Domani sull’ambiente, una delle fonti migliori per aggiornarsi sul tema.
Quanto costa mangiare sostenibile? Prova a rispondere a questa domanda un articolo di Rame, che ho letto in mezzo al mio tentativo di ridurre il più possibile la carne: non un vero e proprio Veganuary ma ci provo, mi sono anche comprata La stagione vegetale di Myriam Sabolla per organizzarmi meglio.
Newsletter per l’editoria è il tema del corso che terrò il 20 e 27 febbraio per AIE, l’Associazione Italiana Editori. Sono due sessioni online, il corso è pensato per chi in casa editrice si occupa di comunicazione e per i professionisti della comunicazione editoriale; ci sono sconti per chi lavora come freelance.
Io solo qui per dire che i tuoi 40 minuti mi hanno fatto molto ridere, e per fare la quota di chi Perfect Days l'ha visto due volte e ha chiesto la locandina al cinemino del mio cuore <3
Grazie per la citazione Ale!! Io sono molto curiosa di vedere il film di Wenders, non fosse altro perché dopo il mio viaggio sono in piena fissa giapponese. Magari a una matinée, così non rischio di infastidire i vicini russando 😅