Venerdì mattina abbiamo passato un paio d’ore insieme su Zoom con le persone del Freelancecamp, per raccontarci cosa è successo durante e dopo l’alluvione – che è il motivo per cui l’evento di maggio è stato rimandato a inizio settembre – e parlare del futuro del Freelancecamp.
È stato un racconto a più voci, intenso e in certi momenti doloroso, con magoni e momenti di ilarità collettiva; trovarci insieme è servito a tutti e tutte, a chi vive qui e a chi sta a centinaia di chilometri di distanza.
Sono tornati a galla anche i ricordi di altre alluvioni: Paola ha parlato della Liguria, Antonella dell’Appennino piacentino, Sara di Vaia, e io pensavo a come le disgrazie degli altri ci scivolano via velocemente – probabilmente è una fortuna che sia così, non possiamo caricarci di tutti i mali del mondo, ma al tempo stesso è un memento costante sulla necessità di alzare gli occhi dal proprio ombelico, allargare lo sguardo, vedere le connessioni.
Mi ha toccata molto il racconto di Lara, che a Castel Bolognese ha vissuto sia gli allagamenti di inizio maggio che quelli di metà maggio: le persone che sembrano reggere meglio l’impatto di questi eventi sono quelle che sono in grado di pensare non solo a se stesse, ma anche a chi sta intorno; o lo si affronta insieme, o è la disperazione.
Se vuoi, qui sotto c’è il video della parte “corale” del nostro incontro.
Ti segnalo anche questo articolo di Tommaso Nuti, che ha vissuto l’alluvione da Lugo e ne ha tratto una serie di insegnamenti e considerazioni di strategia.
Pensieri che mi combattono dentro
Una delle considerazioni che più mi avevano toccata mentre ascoltavo Marino Sinibaldi a ScrittuRA Festival era la sua impressione che sia sempre più raro vedere una persona cambiare idea, discostarsi da un posizionamento precedente anche a fronte di fatti nuovi. Sinibaldi si chiedeva se sia la maggiore esposizione pubblica dei nostri pensieri, o la facilità di fare cherry picking alla ricerca di elementi a supporto della prima opinione che abbiamo espresso.
Ne parlavo con un amico, e insieme riflettevamo che certo, Internet ha messo in luce aspetti del comportamento umano che esistevano anche prima (il Luminol di cui parla Mafe de Baggis), ma l’impressione è che li abbia anche amplificati, se non altro per l’effetto Brandolini, il principio secondo cui la quantità di energia necessaria per confutare una stronzata è di un ordine di grandezza maggiore dell’energia che è servita per produrla. Il commento grossolano che taglia con l’accetta cause ed effetti (“sindaco infame che non hai fatto pulire i fossi”) gira mille volte di più e più velocemente di un’analisi accurata di fattori, dinamiche e possibili linee d’azione, generando un effetto valanga che sta dando un valido contributo al diffondersi di populismi / autoritarismi / nazionalismi.
Io mi chiedo spesso in che misura le mie convinzioni riguardo a tanti temi – libertà di espressione, gestione dell’immigrazione, come dovrebbero comportarsi le forze dell’ordine – siano figlie di circostanze di relativo benessere e sicurezza. Nei giorni scorsi, mentre mi godevo quella meraviglia di romanzo che è Le strade di Laredo, negli scontri fra il capitano Woodrow Call e i banditi speravo con tutto il mio cuore che Call li ammazzasse tutti, senza stare a chiedersi quale tristi circostanze avevano portato ciascuno di quegli uomini a imbracciare il fucile: in tempi carichi di violenza e soprusi, la mitezza e le sfumature non sono un’opzione vitale. E mi aveva molto fatto pensare alcuni mesi fa la conversazione sulla guerra con Emanuele Parsi in una puntata del podcast Globo, perché l’invasione dell’Ucraina mi ha fatto cambiare idea su questioni importanti, come le risorse da dedicare alla difesa.
Forse il problema sta nel cercare una risposta unica, bianca o nera, mentre gli opposti spesso coesistono come nel simbolo dello yin e yang, in cui nel bianco c’è una parte di nero e viceversa, e nulla può essere completamente yin o yang.
Con che arroganza giudichiamo fatti e persone o pretendiamo coerenza e perfezione, da noi e dagli altri! La strada della consapevolezza, che passi o meno attraverso forme di meditazione, ci fa prendere atto delle nostre contraddizioni e ci aiuta ad accettarle, vivendole meno come conflitti e più come molteplicità di risorse.
Dovremmo anche accettare che la nostra esperienza è parziale, perciò il contributo che possiamo dare a una discussione o a una soluzione è inevitabilmente incompleto e potrebbe confliggere con altre esperienze, altri punti di vista, altrettanto fondati dei nostri; e questo può essere doloroso e irritante – io odio essere smentita dai fatti o da chi conosce realtà in cui io mi oriento a malapena.
Non c’è niente di facile in questo e ben pochi maestri ci insegnano a trovare l’alba dentro l’imbrunire. Però aiuta a collegarti con la terra, a sapere dove sta il tuo baricentro e perciò muoverti meglio, anche sentire meglio le altre persone e quanto bisogno hai di loro.