Nelle scorse settimane, prima alla Summer School Digital Update e poi al Food & Wine Forum delle Langhe, molte persone mi hanno chiesto se adesso le cose in Romagna vanno meglio, animate da un sincero interesse e dalla speranza di ricevere notizie confortanti.
Con dispiacere le ho dovute aggiornare sulla realtà, che è quella di un’emergenza acuta ormai terminata ma anche di una montagna di problemi che, in tutta evidenza, dovremo sbrogliarci senza alcun aiuto dal governo; a Roma infatti hanno rimandato per l’ennesima volta la nomina del commissario e, ogni volta che si parla di soldi, buttano la palla in tribuna.
Del resto, come farsi sfuggire un’occasione così ghiotta per tentare l’assalto a una delle ultime roccaforti dei rossi? Meglio far cuocere a fuoco lento i sindaci, alle prese con migliaia di cantieri urgenti che non si sa con che soldi verranno pagati – frane da rimuovere, strade da ripristinare, fiumi e canali da liberare dai detriti – e intanto fomentare il malcontento in vista delle elezioni regionali dell’anno prossimo.
Riuscirà questa mossa? La strategia dell’attuale maggioranza mi sembra quella di trovare ogni settimana un nuovo trigger, il più divisivo possibile, che sia il lutto nazionale per B. o l’accanimento crudele contro i bambini delle coppie omogenitoriali. Diritti affondano, ministri applaudono, come dice la sigla di Questo mondo non mi renderà cattivo; io inizio a pensare che invece dovremmo diventare più cattivi, ma indirizzandola bene ‘sta cattiveria.
La dimensione collettiva dei problemi
Ho riletto Lettera a una professoressa, libro che negli anni del liceo mi aveva segnata profondamente - una lettera che è una bomba, la definisce Marino Sinibaldi. Ci ho ritrovato l’intransigenza che forse non ho più, o ce l’ho su cose diverse da un tempo, e certo non mi riconosco più in quella religione del lavoro e del sacrificio che non ammette ricreazione né leggerezza; ma mi è servito ricordare che
il problema degli altri è eguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia.
Lo scrivo consapevole che da molti problemi ne sono comunque uscita da sola, a volte tendendo una mano anche a chi faceva più fatica di me, ma in genere pensando che comunque la prima regola per aiutare è essere in grado di farlo. C’è un punto di ragionevolezza fra il collettivismo di Don Milani e la riduzione di ogni problema alla responsabilità individuale, quella tendenza a ributtare ogni questione addosso a chi la solleva, sei tu che puoi decidere come reagire, se farti sopraffare o meno?
Diventiamo pure ninja della meditazione e della capacità di governare i nostri stati d’animo, ma che questo ci serva per combattere un sistema tossico, che sta consumando il futuro nostro e delle prossime generazioni, che venera ancora un’idea del potere fatta di gerarchia, sopraffazione e volgarità, mentre il potere dovrebbe essere responsabilità e servizio.
Sì, sto pensando al metoo delle agenzie, a certi ambienti tossici da cui mi sono sempre istintivamente tenuta lontana: io ho le spalle abbastanza larghe da non essere percepita come una preda facile, semmai più come la rompicoglioni di turno, tuttavia le chat del calcetto intossicano la stessa aria che respiro anch’io, quella in cui cresce mio figlio, quella che circola nelle aziende che potrebbero essere mie clienti.
Lo ribadisco: più che una questione di genere, è una questione di potere, e di come intendiamo il potere. Mi sono molto ritrovata in una riflessione di Sarah Malneric su una foto dai funerali di Flavia Franzoni in cui Romano Prodi stringe a sé in lacrime la mano di Mario Draghi:
questa immagine non andava d’accordo con la rappresentazione dell’uomo di potere. O meglio, con la rappresentazione della virilità che va performata e della mascolinità tossica che vediamo agita e esibita come distintivo per far parte del prestigioso club dei maschi che vanno a comandare
Servono uomini diversi, che non hanno paura di uscire dalle chat spiegando perché lo fanno, che rifiutano di partecipare ai manel, che lavorano alla pari con le colleghe. Di uomini così ce ne sono già, più di uno, io ci lavoro e li ho come amici e soci, in contesti dove non stiamo a contarci più di tanto perché non ce n’è più bisogno.
Serve che ci liberiamo tutti e tutte dal desiderio dell’uomo forte, che la leadership può e deve essere attenzione, generosità e cura. Dagli uomini forti – questo sabato ne abbiamo avuto l’ennesima dimostrazione – non può arrivare nulla di buono.
Cara Alessandra, è sempre un grande piacere leggerti. Mi sento un po abusivo, perchè nn sono un cliente e nn ti conosco neppure. Ma fa sempre piacere leggere le tue riflessioni, sempre ricche di umanità, pacatezza e ragionevolezza ... e forse hai anche ragione che , forse, un po di tigna diciamo cattivella forse bisogna tirarla fuori.
Condivido con mestizia il ragionamento che fai sull'opportunità politica di fomentare l'incazzatura per trarne vantaggio elettorale. Ma forse le persone non sono così cretine come le vorrebbero, almeno mi auguro.