Cronaca di un diluvio annunciato
La nuova normalità fa cagare, ma tocca attrezzarsi e fare – una buona volta – quel che c'è da fare.
Sono contenta di essere andata a camminare in Appennino ogni domenica in cui il meteo era minimamente decente, anche quando ero stanca e avrei volentieri dormito un’ora di più, perché passerà molto tempo prima di poter tornare in sicurezza sui crinali.
Scrivo alla fine di una settimana angosciante, che non è ancora finita. Lunedì scorso ho chiuso l’ufficio con la prospettiva di lavorare da casa il martedì e l’incognita di una trasferta in treno prevista per il mercoledì; le previsioni erano “ciclone mediterraneo in arrivo”, con un’allerta meteo in corso e chiusura di tutte le scuole e servizi di aggregazione. Parlando con un amico al telefono, ironizzavo che ok che mi è piaciuta un sacco Blackwater, ma non tanto da volerne fare l’esperienza dal vivo.
Ecco cosa scriveva lunedì sera Fausto Tomei, meteorologo dell’ARPA Emilia Romagna:
Al momento le previsioni del centro europeo danno una quantità totale tra 100 e 200 mm di precipitazioni, nelle giornate di martedì e mercoledì, un evento simile a quanto accaduto il 2 maggio e sulle stesse aree, tra Bologna e la Romagna.
La differenza rispetto ad allora è che ora il suolo è saturo e quindi non in grado di trattenere quasi nulla: se il 2 maggio ha fatto disastri sparsi, questa volta potrebbe finire come nel maggio 1939, in cui mezza regione venne allagata.
Se dovesse accadere veramente (spero tanto che la previsione sia sbagliata), è inutile che perdiate tempo a parlare di tombini, argini, nutrie, sindaci e madonne: nulla di tutto ciò può cambiare le cose, la natura se ne frega delle chiacchere. La cosa importante è avvisare chi è a rischio.
Non viaggiate e sostate in prossimità di fiumi o torrenti. Non andate a dare una occhiata per curiosità. Se vivete o conoscete qualcuno che vive in area di potenziale sfogo delle acque, avvisateli di non restare in piani interrati o scantinati. Gli elettrodomestici potrebbero rovinarsi con l'acqua, se potete rialzateli o spostateli. Se lasciate l'auto in un punto di potenziale accumulo o deflusso di acqua, potreste ritrovarla in stato da buttare.
Martedì sono arrivati pioggia e vento, sempre più implacabili: chiusi in casa, abbiamo iniziato a controllare compulsivamente su Facebook le pagine di Emilia Romagna Meteo, Meteo Pedemontana Forlivese, e quelle dei comuni e sindaci; poi abbiamo messo un tab fisso sulla mappa dei dati idrometrici ARPA, dove i fiumi iniziavano un po’ alla volta a passare da gialli ad arancioni a rossi; prima sull’Appennino, poi via via vicini alle città sulla via Emilia.
Durante la giornata di martedì ancora non mancavano i pataca che si lamentavano a gran voce su Facebook di quanto fosse esagerato l’allarme, “se ogni volta che tira un po’ di vento e piove forte si chiudessero le scuole e le palestre”, “le piogge forti ci sono sempre state”, e simili. Poi la collina ha iniziato a franare e nel pomeriggio sono partite le esondazioni dei fiumi: all’inizio nella prima collina (Dovadola, Borello), poi nelle città lungo la via Emilia.
Alle quattro del pomeriggio è esondato il Savio a Cesena; a Faenza il Lamone ha di nuovo rotto gli argini e l’acqua ha inondato gli stessi quartieri che erano andati sotto metri di fango due settimane prima; e la sera a Forlì il Montone ha allagato un intero quartiere a nord-ovest, mentre a est il Ronco ingrossava pericolosamente e dopo poche ore avrebbe rotto gli argini nella campagna a nord-est.
Io sono andata a letto col magone; le zone in cui vivono madre e sorella, a Forlì, erano ancora all’asciutto, ma le immagini che arrivavano da tutta la Romagna spezzavano il cuore. Ho messo la sveglia alle sei e ho preparato comunque lo zaino per partire, ma al mattino dopo la circolazione dei treni era interrotta su tutte le linee.
Ho avvisato il mio cliente ed è iniziata una nuova giornata di attesa, messaggi mandati e ricevuti, allerte telefoniche dal Comune con gli avvisi delle zone da evacuare. A un certo punto non ce la facevo più a stare in casa e sono andata in uno degli hub per gli sfollati, per sentire se c’era bisogno di aiuto; era già pieno di volontari, e mi ha fatto bene vedere tante facce conosciute e non, anche se poi non c’è stato altro da fare che tornarmene a casa a ricaricare compulsivamente Facebook e cercare di distrarmi col lavoro.
Ci dicevamo “dai che stasera smette di piovere, poi la situazione dovrebbe migliorare”; intanto però arrivavano i primi morti e si moltiplicavano frane e rotture di argini. E diventava chiaro che la portata di quello che stava succedendo era senza paragoni; ecco come lo descrive un altro meteorologo, Pierluigi Randi:
I due eventi di pioggia estrema dell’1-3 maggio e del 16-17 maggio 2023 sintetizzate in due mappe (sempre grazie ad ARPAE-SIMC). Sta di fatto che in soli due eventi ravvicinati nella fascia già di bassa collina (150-300 m circa) si sono avute cumulate tra 450 e 500 mm ma localmente anche oltre (ci sono state altre piogge consistenti, ad esempio il 10 maggio). La piovosità media annua su base trentennale, su quelle aree, oscilla tra 900 e 1000 mm. Dunque, in due eventi, è caduta circa la metà della pioggia che dovrebbe cadere in un anno. Valori altissimi anche sulle zone di pianura del ravennate (200-300 mm con picchi locali fino a 350 mm), che stazzano tra quasi un terzo e la metà della precipitazione media annua.
L’evento estremo è quello intenso ma soprattutto raro in base alla statistica che descrive la probabilità che possa accadere in una determinata area, e questo (anzi, questi) lo è a pieno titolo, già ora in base ai primi dati. E la cosa più grave è stata la vicinanza temporale tra due eventi così severi. Poi ci si lavorerà meglio su per approfondimenti a mente fredda.
Giovedì la pioggia era finita, ma non l’emergenza. Dalla collina al crinale, centinaia di frane – non un po’ di terra sulla strada, ma il crollo della massicciata e la strada rotta che scende verso valle – con decine di paesi isolati; la conta dei morti che saliva; le città sulla via Emilia impantanate fra fango e black-out; la campagna in pianura che stava diventando un po’ alla volta un lago.
Venerdì l’acqua è arrivata alle porte di Ravenna, anzi ha allagato la frazione di Fornace Zarattini, appena fuori dalla circonvallazione: sono i canali di irrigazione che, avendo ricevuto molta più acqua di quella che normalmente arriva, stanno esondando e riportano la pianura al suo stato primigenio: la palude. Non è questione di scarsa manutenzione o mancanza di casse di espansione, è che proprio siamo fuori scala. Ecco di nuovo la spiega di Fausto Tomei:
Per la conformazione della pianura, buona parte delle acque della Romagna convergono alla fine su Ravenna.
Il Montone e il Ronco si uniscono, subito a sud della città, per sfociare insieme nella denominazione di Fiumi uniti. L'unione artificiale venne realizzata proprio per ridurre gli allagamenti in città. Il Lamone, che porta con sé anche le acque del Marzeno, sfocia a nord, a Marina Romea.
Nel mezzo un reticolo di canali del consorzio di bonifica, tra cui il principale è il canale Magni, che lambisce tutta la città per sfociare nell'area industriale del porto.
Milioni di metri cubi di acqua che in questi giorni hanno vagato per la Romagna, riempito canali e campagne, e non hanno trovato alloggio in suoli ormai saturi, si sono dati appuntamento qui, circondando lentamente la città da sud, nord ed ovest.
Per ridurre la dimensione del disastro si è fatto di tutto: l'argine del canale Magni è stato rotto artificialmente, per farlo esondare parzialmente sui terreni e ridurre la pressione sulle idrovore, che non erano sufficienti per questi volumi.
La rete del Canale Emiliano-Romagnolo, si è provato a farla lavorare al contrario, usando chiuse ed idrovore per portare l'acqua a nord, verso il Reno.
Ma sì è compiuto comunque l'inevitabile atto finale dell'alluvione, una sorta di tsunami al rallentatore. Dopo Ravenna, il mare.
Mentre a casa mia i condomini volonterosi allestivano una barriera per bloccare la rampa che porta ai garage seminterrati, in caso l’acqua arrivi fino al nostro quartiere (per fortuna finora non è stato necessario metterla alla prova), io in ufficio cercavo di fare qualcosa fra un aggiornamento e l’altro; poi Silvia mi ha messa in contatto con il gruppo di volontari che stava iniziando a incrociare richieste di aiuto e disponibilità, e loro mi hanno chiesto se potevano installare da me il quartier generale delle operazioni.
Così dal pomeriggio di venerdì nel mio ufficio si è installato un gruppo ad assetto variabile di nerd, comunicatori, informatici e project manager, a cui il sabato mattina si è aggiunto anche il diciassettenne che insieme a un compagno informatico sta facendo il parsing degli indirizzi per tenere aggiornata una mappa richieste di intervento / disponibilità di volontari.
Io avrei preferito portarlo subito a spalare del fango, ma da Ravenna ancora si vuole limitare al massimo lo spostamento dei volontari per strade a rischio allagamento, quindi i miei stivali di gomma restano nel baule fino a domenica mattina, quando sono aggregata a una squadra diretta alle frazioni di Filetto e Pilastro.
Scrivo per non dare di matto
Sono quarant’anni almeno che scienziati e scienziate mettono in guardia sulle conseguenze del riscaldamento globale: aumento dell’energia dell’atmosfera, aumento dei fenomeni estremi, alternanza di siccità, ondate di calore, cicloni, picchi di freddo intenso, i cui effetti sono tanto più devastanti quanto più agiscono su territori già messi alla prova.
Io ho finito la pazienza: se non lo capite adesso che i disastri succedono qui e non in qualche zona remota del mondo dove non conoscete nessuno, allora non lo capirete mai, e io non ho più energie da sprecare per spiegarvi cose che dovreste aver capito da anni. C’è un monte di lavoro da fare, non solo per spalare e riparare i danni di oggi, ma per prepararci a gestire quelli che arriveranno domani – non fra dieci o vent’anni, ma molto prima di quello a cui siamo abituati.
Vi sembra che i ragazzi di Next Generation siano estremisti esagitati? Che vi porti via la piena, voi e tutta la vostra spocchia da vecchi egoisti.
Io voglio che mio figlio abbia un futuro: quando lo sento dire che gli toccherà cercare di emigrare il più possibile a Nord, penso che stiamo rubando a lui e alla sua generazione un sacco di bellezza e ricchezze ed esperienze.
Cambiare rotta è possibile, è maledettamente possibile e necessario.
Grazie di tutti i messaggi
Io sto bene, sono una delle fortunate che non ha l’acqua in casa, parenti e amici stanno bene, ogni vostro messaggio mi scalda il cuore.
Volete dare una mano?
Il Comune di Ravenna ha istituito una raccolta fondi per dare sostegno alle famiglie e alle realtà colpite dall’alluvione; potete fare un bonifico all’Iban IT96V0627013100CC0000308106 intestato a Comune di Ravenna con la causale “Donazione emergenza alluvione”.
Anche la Regione Emilia Romagna ha attivato una raccolta fondi, qui intestazione, IBAN e tutte le indicazioni.
Per segnalare la vostra disponibilità come volontari, compilate questo form per la zona di Ravenna, registratevi qui per la zona di Forlì-Cesena.
Emergenza a parte, le scelte da fare le sappiamo, sono scritte da anni in ogni rapporto IPCC; governi e amministrazioni le adotteranno se saremo noi a pretenderle, altrimenti si andrà avanti a compromessi, populismi, marce indietro e lamentazioni contro “le assurde direttive europee che tagliano le gambe ai nostri operatori economici”.
L’alluvione invece agli operatori economici gli fa bene, vi assicuro: da queste parti le industrie sono allagate coi macchinari inservibili, gli agricoltori hanno perso il raccolto, gli animali, gli alberi soffocati da acqua e limo.
Chi non lo capisce adesso, spero che se lo porti via la piena, insieme alla mia rabbia.
Cara Alessandra,
ho letto con il nodo alla gola, condivido la tua rabbia, e adesso condivido anche la NL.
Un abbraccio
Nel varesotto mi sono attivato per far arrivare decine di computer destinati a famiglie, scuole, associazioni.
Saranno portati dalla Protezione Civile degli Alpini appena saprò a chi potranno essere destinati.
Se ci sono segnalazioni particolari sarò lieto di dare una mano.
Massimiliano De Cinque “Digital Sherpa”