Chiare lettere
Scrivere chiaro, inclusivo e accessibile per far funzionare meglio l’email marketing
[Quello che segue è il testo del mio intervento a DiParola Festival, che si è tenuto online il 21 e 22 settembre]
Perché è importante la cura del linguaggio nella pratica dell’email marketing
Il canale email è un canale diretto, che bussa alla porta di casa delle persone.
Spesso lo si usa come i volantini pubblicitari, distribuiti a pioggia nelle buchette “pubblicità”: un enorme spreco di carta, energia, spazio.
Invece dovremmo pensarlo come le lettere col nostro nome e cognome sopra, che riceviamo nella buchetta delle lettere, quella “vera”: sono messaggi indirizzati proprio a noi, e per questo dedichiamo loro più attenzione.
L’email marketing si fa usando i dati, e questo fa sì che noi possiamo accrescere e usare la conoscenza delle persone a cui ci rivolgiamo, creando relazioni reciprocamente vantaggiose che si consolidano nel tempo.
I dati che usiamo sono:
dati di prima parte, cioè informazioni raccolte, gestite e organizzate da noi; per poterli usare dobbiamo comunicare in modo chiaro, onesto e anche convincente quali dati raccogliamo e cosa ne vogliamo fare;
o addirittura zero party data, cioè informazioni fornite direttamente dalle persone interessate, in modo spontaneo e consapevole; per ottenere zero party data è indispensabile spiegare perché li raccogliamo, che vantaggi ci sono a comunicarli.
Io trovo molto stimolante il concetto di conversational data, informazioni che otteniamo attraverso un dialogo, una relazione, appunto una conversazione.
L’email marketing spesso è one-to-one: pensiamo a tutti i messaggi automatici, dalla mail di benvenuto ai messaggi collegati all’acquisto, alle notifiche di scadenze, rinnovi, anniversari. Per questo, quando ci rivolgiamo alla persona a cui è destinata una certa mail, quella persona si deve sentire riconosciuta, deve pensare “stanno scrivendo proprio a me”: quindi, banalmente, il maschile sovraesteso è un problema, statisticamente almeno nel 50% dei casi, e più in generale abituarci a “pensare inclusivo” fa sì che scriviamo email migliori.
Il discorso sull’inclusività è stretto parente di quello sull’accessibilità: una campagna email arriva a tante persone, ed è compito nostro rimuovere il più possibile le difficoltà di accesso, comprensione, decodifica del messaggio che mandiamo, esattamente come ci preoccupiamo della deliverability, cioè della capacità di arrivare a destinazione superando i filtri antispam: perché se la mail non arriva, o arriva ma non è fruibile per problemi di accessibilità, è già finito il gioco.
Iniziare bene: quando ci si iscrive
Il modulo di iscrizione a una newsletter è un punto di contatto importante, in cui dobbiamo spiegare in modo chiaro e semplice cosa promettiamo di scrivere e, se chiediamo informazioni in più rispetto all’indirizzo email, come le useremo.
Trovo molto ben scritta la form sul sito di Greenpeace, che evita anche di citare il fatto di essere una newsletter ma passa subito al punto: perché devi darci i tuoi dati.
Maschile sovraesteso invece nelle landing page delle varie guide UPPA, dove la prole è tutta di genere maschile, anche nei messaggi di errore (“seleziona la data di nascita di tuo figlio!”) e anche chi si iscrive acconsente a rimanere aggiornato.
Nelle tendine delle opzioni, userei l’asterisco, che qui viene usato per indicare che il dato è obbligatorio, ma tanto sono tutti campi obbligatori, lo si poteva scrivere in una nota sopra e sotto.
Il testo a fianco del flag sul consenso, oltre che usare un maschile sovraesteso, “rimanere aggiornato”, che si potrebbe benissimo sostituire con “ricevere aggiornamenti”, è proprio criptico e scritto malino:
Acconsento a rimanere aggiornato su servizi e iniziative promozionali per quanto attiene al trattamento dei dati personali per le finalità promozionali e/o di marketing e di aver preso visione della Informativa sulla privacy.
Lo riscriverei così:
Do il consenso all’uso dei miei dati personali per ricevere aggiornamenti, informazioni e messaggi promozionali da UPPA; ho preso visione dell’informativa sulla privacy.
Anche Fondazione Veronesi cade nel maschile sovraesteso, anche loro con una lista probabilmente a prevalenza femminile più che maschile: “resta sempre aggiornato”, “desidero essere contattato”.
Qui abbiamo anche un eccesso di dati richiesti, e non è chiaro perché una persona dovrebbe dare il proprio indirizzo di casa per ricevere una newsletter; certo, sono dati non obbligatori, ma io dubito che siano davvero necessari in questa fase, o che ci sia chi li controlla e valuta se e come usarli.
Il messaggio o i messaggi di benvenuto vengono immediatamente dopo l’iscrizione. Anche qui, si trova ogni tanto un bel maschile sovraesteso, anche quando in fase di iscrizione ci è stato chiesto di specificare il genere.
Eppure è facile trovare delle alternative, da “ti diamo il benvenuto” a “grazie di essere qui” in tutte le loro varianti (“che bello averti qui”, “adesso fai parte del club”, “ecco il tuo regalo”, “ciao Alessandra, ecco il tuo sconto”):
In fondo a ogni messaggio
Il piedipagina di newsletter e DEM è uno di quegli elementi che a volte si tende a trascurare, pensando che non verrà mai letto. Non è così, e fra l’altro, trattandosi di un elemento che generalmente fa parte del template e quindi riusato più e più volte, senza che dobbiamo preoccuparci ogni volta di spremere la nostra creatività per scriverlo, vale la pena di impostarlo come si deve.
È opportuno che il piedipagina contenga una qualche frase che risponde alla domanda “perché sto ricevendo questo messaggio?”; si tratta di ribadire in modo chiaro, esaustivo e sincero quali sono le premesse della nostra relazione epistolare, senza necessariamente linkare alla privacy policy (anche se ovviamente possiamo farlo), ma giusto per chiarire che è tutto in regola.
In questo esempio si spiega bene il “perché sei in lista”, ma si cade sul solito maschile sovraesteso:
Anche qui, basta pensarci un po’ e si possono trovare modi migliori per dirlo.
Sempre parlando di footer: come faccio a rispondervi?
L’email è per sua natura un canale relazionale, in cui la comunicazione può viaggiare a due vie. Usarlo in modalità broadcast (io parlo, voi ascoltate) è la negazione di questa natura conversazionale, per questo io sono una feroce avversaria dei mittenti noreplay@ e di tutti quei casi in cui complichiamo la vita alle persone che ci vorrebbero dire qualcosa.
Quando una persona risponde a una newsletter, a una DEM, a un messaggio automatico, spesso fornisce feedback preziosi, e fra l’altro facendolo inserisce automaticamente quell’indirizzo nella propria rubrica contatti, il che è una bella assicurazione contro i filtri antispam.
È uno dei segni più forti di engagement, quindi non dovremmo ostacolarlo, ma anzi favorirlo permettendo che la risposta avvenga nel modo più naturale: cliccando sul pulsante “rispondi”.
Questioni di accessibilità
Esco un momento dagli stretti confini della scrittura e del linguaggio per parlare di alcune attenzioni che dovremmo sempre avere per rendere le nostre email più accessibili.
Descrizione testuale delle immagini
È il cosiddetto ALT TEXT, il testo alternativo che possiamo impostare quando inseriamo un’immagine in un’email.
Tutti gli ESP ci permettono di farlo, addirittura alcuni di loro oggi ci facilitano il compito grazie all’intelligenza artificiale, che interpreta l’immagine che abbiamo caricato e ci propone una descrizione:
l testo alternativo serve quando la mail viene letta da un dispositivo non visuale, ma anche, semplicemente, se la apriamo senza scaricare le immagini: più il testo descrive bene l’immagine, più faciliteremo chi non può vederla, o incentiveremo chi sta leggendo senza immagini a fare quel benedetto download.
Il testo è testo, le immagini sono immagini
Sempre parlando di immagini, una pratica assolutamente deprecabile è quella di usare le immagini per scriverci dentro dei testi.
Qui non solo rendiamo illeggibile il testo per chi non usa un client visuale, ma mettiamo anche in difficoltà chi legge da mobile (il testo dentro l’immagine diventerà piccolissimo) e anche chi vorrebbe gestire le dimensioni di dei caratteri aumentandole rispetto al default.
Chi progetta i layout e la grafica delle email deve sempre ricordarsi che:
il testo va gestito come testo: non importa così tanto che da un client all’altro quel paragrafo prenda una riga in più, o vada a capo in un punto diverso, o magari addirittura non esca nel font che abbiamo immaginato di usare: non è questo che determinerà il successo o il fallimento di una campagna email;
chi riceve le nostre mail può essere miope, presbite, non distinguere bene tutti i colori, preferire il dark mode, cioè lo schermo scuro: è sacrosanto che possa gestire lo schermo come meglio crede e continuare a leggere comunque le nostre mail.
È un link o no?
Una campagna email contiene generalmente tanti link; il più importante ed evidente è, o dovrebbe essere, la Call to Action principale di quella campagna, generalmente espressa in un pulsante che “ci chiama all’azione”, spiegando chiaramente cosa dovremmo fare: acquista ora, scarica l’ebook, iscriviti al corso.
Il pulsante è chiaramente un link, perciò non è necessario, anzi può risultare fastidioso, che abbia il testo sottolineato. Quando però un link sta all’interno del testo normale, bisogna che si capisca che quella parte di testo è l’ancora che ci porterà da qualche altra parte. Perciò io consiglio sempre di:
fare in modo che i link dentro al testo siano in un colore diverso da quello del testo normale e sottolineati, perché la sottolineatura è interpretata come un segnale che quello che stiamo leggendo è un link;
di conseguenza, non usare MAI la sottolineatura come codice per evidenziare qualcosa che non sia un link: per quello, ci sono il grassetto, il corsivo, l’impostazione di un colore di sfondo diverso, e in termini di HTML semantico tutti i tag che comunicano all’agente in uso che quella parte di testo è particolare (<strong>, <en> e così via);
il testo che funge da ancora del link non può essere un criptico e minuscolo qui; deve essere un testo parlante, che spiega da solo – senza bisogno di leggere il testo circostante – che cosa troveremo cliccandoci sopra, e lungo abbastanza da riuscire a centrarlo col dito se stiamo leggendo la mail da cellulare.
Ogni link è una promessa: perché funzioni, deve essere comprensibile, concreta, sincera:
comprensibile: si deve vedere, si deve vedere che è un link, si deve capire cosa c’è dall’altra parte;
concreta: il testo deve spiegare in parole chiare, il meno generiche possibile, cosa succederà cliccando;
sincera: il link deve portare nel posto giusto, e subito: se la CTA è “calcola il tuo preventivo”, ci deve essere un calcolatore di preventivi, non il numero di telefono di un commerciale; se è “cancella la tua iscrizione”, la disiscrizione deve avvenire con un clic, non dopo che abbiamo inserito username, password, codice fiscale e motivazioni per cui vogliamo andarcene.
In conclusione
Consenso consapevole, dati conversazionali, personalizzazione: l'email è un canale che funziona tanto meglio quanto più si costruisce una relazione basata su attenzione e rispetto.
Parliamo alle persone, una alla volta, perciò dobbiamo – e possiamo – allenarci a usare un linguaggio chiaro, sincero, inclusivo. Più lo facciamo, più ci verrà naturale farlo e più contribuiremo a migliorare il livello della conversazione collettiva.
Prossimamente su Twitter
Negli ultimi mesi mi chiedo spesso se restare su Twitter X, che – selezionando rigorosamente i profili da seguire – continua a farmi scoprire notizie e contenuti che magari da altre parti non troverei, ma su cui ho sempre meno voglia, tempo e motivazioni di scrivere qualcosa che non sia un pigro repost di articoli o commenti altrui.
Però SiteGround mi ha invitata a un’ora di conversazione sull’email marketing, quindi giovedì prossimo alle quattro del pomeriggio farò questa audio chat all’interno di un Twitter Space, sono abbastanza curiosa di vedere come va. Qui il link, parleremo in inglese, se ti interessa il tema ci sentiamo là.