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Contro l'ossessione del lavoro
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Ciao,
poco dopo aver chiuso questa newsletter sarò a Venezia insieme a Miriam Bertoli, e con lei ragioneremo sulle rispettive strategie di comunicazione: quali sono adesso i nostri obiettivi principali? che contenuti dovremmo creare, quanto spesso, come distribuirli? quanto ci costa – in termini di energie e tempo – scrivere una newsletter? quanto ci rende in termini di contatti, idee, reputazione?
Non so se il risultato di questa sessione di lavoro sarà una lista di cose da fare, o invece la decisione di farne un po’ di meno; non voglio dare niente per scontato. Come si dice, dopo i 50 anni impari a dosare le energie e fare quello che davvero vale la pena: io i 50 li ho passati da un bel po’, e l’ossessione di stare al passo con ritmi e performance etero-indotti, se mai l’ho avuta, è finita da tempo.
Parlando di ossessioni ormai smontate, una lettura molto interessante che ho terminato da poco è l’ultimo libro della coppia Tlon.it, Maura Gancitano e Andrea Colamedici: Ma chi me lo fa fare? Come il lavoro ci ha illuso: la fine dell’incantesimo.
Nella mia vita ho lavorato sempre, in certi periodi anche tanto, pur mantenendo sempre degli spazi di pausa, riposo, fuga; è più di vent’anni che mi sono costruita una dimensione professionale che, oltre a pagarmi le bollette, nutre la mia curiosità, mi fa incontrare persone, storie e luoghi, ha arricchito la mia vita di amicizie e insegnamenti; decido io dove e quando lavorare, insomma sono in una condizione di grande privilegio e ne sono ben consapevole.
Proprio per questo penso che dovremmo ripensare completamente il ruolo che ha il lavoro nella nostra società, e questo implica anche una radicale redistribuzione delle risorse. È davvero arrivato il tempo di lavorare meno – la settimana lavorativa di quattro giorni mi sembra un ottimo inizio – e soprattutto di pagare molto meglio chi fa lavori di cura, delle persone e delle cose: meno lavori del c***o e più infermieri, giardinieri, insegnanti, restauratori, e tutte le persone che migliorano la vita di quelli che incontrano.
Il primo posto da cui iniziare per smontare l’ossessione del lavoro è l’ambito dei lavori cosiddetti creativi, me e i miei colleghi per intenderci: quale creatività può scaturire da menti che non si concedono mai l’ozio?
“Parte del lavoro è diventato il farsi vedere rapiti dalle mansioni, con la giornata stracolma di cose da fare. Questo satura ogni possibile spazio libero per coltivare l’ozio, la quiete e la meraviglia, e di conseguenza sviluppa, quando non stiamo lavorando o non ci sentiamo di dare il massimo, un masochistico senso di colpa che a sua volta produce l’ansia di svolgere il più velocemente possibile – se non addirittura contemporaneamente – gli innumerevoli task della propria giornata per provare a sentirsi a posto con la coscienza (spoiler: con pessimi risultati).”
Ecco, io ho iniziato a smettere.
Cose base di email marketing che ripeto da anni
Eppure tocca ritornarci su, più e più volte:
Non mandare newsletter da indirizzi noreplay@: è come dire alle persone “non me ne importa niente di te, basta che compri”, e butti via il bonus “entro fra i tuoi contatti”, che è un’assicurazione contro la cartella Spam.
Il doppio opt-in fa perdere qualche iscrizione distratta, ma l’aumento di qualità della lista compensa più che largamente in termini di risultati.
Se non ci conosciamo, importare il mio indirizzo email in una lista Mailchimp e mandarmi un’autopresentazione come questa, ti assicuro, è una pessima idea.
Storie belle che ho letto (o riletto) di recente
Blackwater, che te lo dico a fare? Lo sto ascoltando in audiolibro su Storytel, godibilissimo nonostante la sofferenza di aspettare due settimane l’uscita del prossimo volume.
I pazienti del dottor Garcia, uno degli episodi di una guerra interminabile di Almudena Grandes: un affresco del Novecento spagnolo, i cui ultimi anni si intrecciano ai miei ricordi di bambina che iniziava a ragionare su quel che succedeva nel mondo.
Le vie dell’Eden: se dovessi dire quale dei libri di Eskol Nevo mi piace di più non saprei scegliere, il suo modo di trafiggermi l’anima con gli intrecci delle storie mi ricorda il primo Kundera; questo in particolare è stato amore assoluto.
Cassandra, di Krista Wolf: sì, le ho lette tutte le varie storie che riscrivono l’epica dal punto di vista di Circe, Didone, Achille, ma la Wolf questo libro l’aveva scritto quarant’anni prima che diventasse una moda, e mi entrò tanto nel cuore che ne feci, insieme a Una stanza tutta per sé, il fulcro del mio tema di maturità.
Ti saluto da Venezia, buona domenica
Alessandra
alessandrafarabegoli.it
palabra.email
digitalupdate.it